La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si intensifica, con Pechino che introduce nuovi dazi sulle importazioni americane, in risposta alle recenti misure tariffarie imposte da Donald Trump. Nonostante le ipotesi di un contatto diretto tra il leader americano e il presidente cinese Xi Jinping, il dialogo non ha avuto luogo e, salvo cambiamenti dell’ultimo minuto – sempre possibili con Trump –, oggi entrano in vigore le tariffe cinesi comprese tra il 10% e il 15% su beni statunitensi per un valore di 14 miliardi di dollari.
Dazi incrociati: la Cina risponde alle tariffe di Trump con nuove misure protezionistiche
L’iniziativa di Pechino era stata annunciata il 4 febbraio scorso, come replica alla decisione di Washington di imporre un’ulteriore tassa del 10% sui prodotti cinesi esportati negli USA. Ma le tensioni non si fermano qui: nel corso di un incontro con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, Trump ha ventilato l’idea di un’imposta globale del 25% su acciaio e alluminio, riportando la politica commerciale americana ai tempi del 2018, quando gli stessi settori finirono sotto tiro.
All’epoca, le restrizioni furono in parte mitigate da una serie di esenzioni, e nel 2021, al G20 di Roma, l’amministrazione Biden e l’Unione Europea raggiunsero un accordo per porre fine alla disputa.
Gli analisti temono un’escalation pericolosa: Zhang Yanshen, esperto del China Center for International Economic Exchanges, avverte sul Financial Times che il conflitto commerciale potrebbe degenerare in una crisi economica su larga scala. E la situazione potrebbe evolversi rapidamente: già domani o mercoledì Trump potrebbe annunciare ulteriori barriere tariffarie "reciproche" nei confronti di chi impone dazi sugli Stati Uniti.
L’andamento delle relazioni tra Washington e Pechino si conferma imprevedibile, caratterizzato da momenti di apertura seguiti da brusche interruzioni. Mentre inizialmente erano circolate voci su possibili negoziati, lo stesso Trump ha dichiarato di non avere alcuna urgenza di confrontarsi con Xi. Nel frattempo, la Cina ha attivato le sue contromisure, colpendo una gamma di prodotti americani che spazia dal gas naturale liquefatto al carbone, passando per le attrezzature agricole, le auto di lusso e alcune risorse strategiche come le terre rare.
La rapidità con cui Trump è passato dalle minacce ai dazi non ha lasciato spazio a trattative, un dettaglio che certo non è stato apprezzato da Pechino. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che la Cina stia lasciando aperta la porta a un possibile negoziato: le tariffe imposte oggi, infatti, rappresentano solo un lieve incremento rispetto a quelle medie applicate alle importazioni americane. Secondo Carlo Altomonte, docente dell'Institute for European Policymaking alla Bocconi e consigliere del CNEL, il rallentamento economico cinese offre a Trump un vantaggio strategico per costringere Xi a tornare al tavolo delle trattative.
Al di là del commercio, la Casa Bianca attende segnali da Pechino su una serie di dossier cruciali: dalla guerra in Ucraina alla crisi del fentanyl, fino alla richiesta di cessione delle operazioni americane di TikTok. Le conseguenze della guerra commerciale del 2018 si fanno ancora sentire, con la Cina che si è progressivamente chiusa al commercio globale, arrestando l’indicatore di crescita della globalizzazione.
Se le tensioni continueranno a crescere, si prospetta un aumento degli scambi commerciali tra Pechino e nuovi partner come Messico, Vietnam, Indonesia e India, dove i rapporti si stanno stabilizzando. Per l’Europa, il rischio è quello di un afflusso massiccio di merci cinesi, respinte dagli Stati Uniti, nel mercato comunitario. Tuttavia, esistono anche opportunità: le importazioni americane dalla Cina, ora soggette a nuove tariffe, potrebbero lasciare spazio alle aziende europee in settori come le auto elettriche, l’industria green, la farmaceutica, la chimica di base e la meccanica.
Per l’Unione Europea, la vera sfida non è tanto nel rischio di dazi mirati da parte degli USA – difficili da attuare su settori strategici come i macchinari industriali e l’agroalimentare –, quanto nella capacità di difendere la propria posizione nelle grandi battaglie economiche globali. Il punto cruciale, secondo Altomonte, è la concorrenza sulle piattaforme digitali e sulla movimentazione di capitali: ogni anno, circa 200 miliardi di dollari si spostano verso gli Stati Uniti, e l’Europa dovrà evitare di farsi trascinare in dispute commerciali che, nel lungo termine, potrebbero risultare irrilevanti rispetto agli interessi strategici in gioco.