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Dante diventa un videogioco: l’Italia prova a trasformare la Divina Commedia in un prodotto globale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Dante diventa un videogioco: l’Italia prova a trasformare la Divina Commedia in un prodotto globale

Il progetto è ufficiale: “La Divina Commedia” diventa un videogioco. Lo studio italiano Jyamma Games ha presentato alla Gamescom di Colonia il primo teaser del titolo ispirato al capolavoro di Dante, trasformando il padre della lingua italiana in un protagonista d’azione. Nel filmato si vede un personaggio dal volto dantesco affrontare un mostro a colpi di spada, in un’ambientazione cupa e visionaria. Il messaggio è chiaro: la Commedia non viene solo citata, ma diventa il mondo di gioco, qualcosa da attraversare e non semplicemente da leggere.

Dante diventa un videogioco: l’Italia prova a trasformare la Divina Commedia in un prodotto globale

L’operazione arriva in un momento in cui l’industria dei videogiochi è uno dei principali motori culturali del presente: i grandi immaginari contemporanei non nascono più nei libri o nella televisione, ma nei giochi che fanno comunità globali. Portare Dante dentro questo spazio significa tentare di spostare il patrimonio italiano dal museo alla piattaforma digitale, facendolo vivere come esperienza e non come ricordo scolastico. È anche un modo per verificare se un elemento simbolico così forte può diventare un marchio esportabile, come accade in Giappone con l’animazione o negli USA con il cinema supereroistico.

Soft power e ritorno economico: la scommessa
Dietro il valore culturale c’è quello economico. Per la prima volta un’opera cardine del canone italiano diventa una “IP commerciale”, cioè un contenuto pensato per generare prodotto, merchandising, nuove narrazioni. Non è solo creatività: è politica industriale applicata alla cultura pop. Se il gioco avrà successo, potrà trainare nuove produzioni e convincere investitori che l’Italia può costruire un mercato domestico del gaming, non solo consumarlo. Ed è questo il passaggio decisivo: non più Paese che importa fantasie altrui, ma Paese che esporta il proprio immaginario.

Ma l’industria è ancora fragile
La strada però non è priva di contraddizioni. Lo stesso studio aveva affrontato polemiche con il titolo precedente, “Enotria: The Last Song”, per via delle condizioni di lavoro, i periodi di crunch e collaboratori pagati come freelance anche in fasi delicate di produzione. È il nodo principale del settore italiano: esiste il talento creativo, ma non una filiera solida che garantisca tutele e continuità. Finora i grandi progetti sono spesso costruiti sopra relazioni temporanee più che sopra strutture stabili. E senza una filiera stabile, il successo resta effimero.

Un test anche per lo Stato culturale italiano
Per questo la “scommessa Dante” è più politica di quanto sembri: se il gioco funziona, può diventare un caso-pilota utile a mostrare che la cultura, quando dialoga con il mercato globale, genera valore. Se fallisce, sarà letto come l’ennesima prova che l’Italia non riesce a trasformare la sua eredità culturale in occupazione e industria. In sottofondo c’è la grande domanda mai risolta: il patrimonio italiano deve rimanere iconografia da museo, oppure può diventare una piattaforma produttiva contemporanea?

Un inferno che è anche un banco di prova
Il teaser ha già creato grande curiosità. Ma l’attesa vera sarà capire se la promessa reggerà fino al lancio: qualità tecnica, narrazione, pubblico internazionale. Questa volta non è in gioco solo un videogioco, ma l’idea che il mondo italiano dei contenuti possa crescere e competere davvero. Dante non è più soltanto il simbolo della tradizione: diventa un test sul futuro. L’Inferno è la prima tappa del viaggio, ma in filigrana la domanda è un’altra: l’Italia può ancora permettersi di considerare la cultura un monumento, o deve iniziare a trattarla come industria? La risposta passerà anche da questa partita digitale.

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