Cronache dai Palazzi - Per Giorgia Meloni i problemi vengono dalla maggioranza

- di: Redazione
 
Non appaia un paradosso, ma la forza della coalizione di governo, in gran parte dovuta al premier, potrebbe dimostrarsi un problema perché, fidando troppo sui numeri, nel governo sembra serpeggiare la tentazione di fare ognuno di testa propria, sapendo che la maggioranza non ha problemi una volta in aula.
Forse è così, ma i segnali di un andare avanti in ordine sparso, nonostante il presidente del Consiglio abbia in più d'una occasione fatto appello alla coesione, cominciano ad essere troppi persino per una Giorgia Meloni che, quando c'è da difendere il ''suo'' esecutivo, è sempre pronta a tornare sulla barricata e a usare toni che non sembrano proprio quelli di un primo ministro, ma di una appassionata della politica non politicante.
Le vicende di questi giorni sembrano dire che forse Giorgia Meloni sta proiettando la sua azione troppo verso l'Europa e non, con la stessa forza e la medesima determinazione, sul fronte interno, dove non è che i suoi le stiano dando una mano.

Cronache dai Palazzi - Per Giorgia Meloni i problemi vengono dalla maggioranza

Il caso di Daniela Santanchè è quasi scolastico. Un ministro che è attaccato (per vicende non politiche, ma fino ad un certo punto) e che risponde con toni scontati, parlando di odio nei suoi confronti e di una campagna mediatica orchestrata per colpire, attraverso lei, il governo.
In linea di principio è così, perché attaccando la Santanchè si cerca di indebolire il governo, ma è il ''prima'' che diventasse ministro che è nel mirino, quel turbinio di società e aziende chiuse, in difficoltà, salvate.
Nulla di nuovo nel mondo della finanza nostrana, dove tutto si fa e si disfa a seconda del vento. Ma qui c'è dell'altro, cioè, sempre che le cose che dicono le inchieste giornalistiche siano completamente fondate, che la Daniela Santanchè imprenditrice ha ottenuto dei fondi dallo Stato, di cui oggi è ministro. Lei ha smentito tutto, rivendicando la correttezza delle sue azioni. E le si può anche credere, vista la complessità della materia. Ma parlare dallo scranno del governo, senza che ci potesse essere un contradditorio o, per meglio dire, senza che, dopo la sua difesa, le si potessero porre degli interrogativi, ha dato l'impressione della volontà di narcotizzare il caso, di silenziarlo inaridendo la possibilità di alimentarlo.
Quella scelta, comunque, era la sola strada possibile per evitare complicazioni.

Per il resto, tutto secondo una partitura scritta, con la maggioranza compatta a difendere il ministro, con una foga che è apparsa forse anche esageratamente manifesta. Ma in politica non si butta nulla e un appoggio (si è anche parlato di solidarietà, come se la Santanchè fosse oggetto di un linciaggio) non si nega a nessuno. Figurarsi ad un esponente della propria maggioranza. Che poi anche nelle scorse ore siano arrivate altre notizie che sbrecciano, fino a creparle, i muri che il ministro ha eretto a sua difesa non fa che confermare che, oltre a quelli normali, il governo e chi lo guida devono preoccuparsi di faccende che fermentano dentro l'esecutivo.
E quando tutto sembra relativamente normale, e quindi sotto controllo, c'è un sottosegretario che pensa bene, in un evento pubblico al quale era stato invitato per la sua carica, di infarcire il suo disquisire di frasi di una volgarità inusuale, che mai, a nostra memoria, sono uscite da un rappresentante del governo in occasioni che prevedono un pubblico.

Vittorio Sgarbi lo ha fatto e solo dopo il diluvio di critiche, anche provenienti dalla maggioranza, ha abbozzato delle scuse che sono sembrate strumentali, ben conoscendo il personaggio. Il luogo, il museo Maxxi di Roma, era quello meno adatto a sentire parlare di organi sessuali (democraticamente, Sgarbi li ha citati entrambi, celebrando però provocatoriamente quello maschile, nella sua valenza ''culturale''). Eppure l'ineffabile sottosegretario lo fatto. Certamente per provocare, come fa sempre, eppure lo ha fatto, incurante dell'uditorio e della sua composizione. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha preso le distanze, ma quando il patatrac mediatico non consentiva di mettere tutto a tacere.

E ora torniamo a Giorgia Meloni che dovrebbe fare altro che occuparsi dei suoi indisciplinati collaboratori. Facile a dirsi, perché non si può mettere il guinzaglio o il bavaglio a tutti. Però qualcosa la deve fare, perché la sua richiesta di essere continenti, quando si parla o agisce, sembra non essere stata capita da tutti. Il silenzio è fonte di grande forza, diceva Lao Tzu. Se andava bene cinquecento anni prima di Cristo, figuriamoci oggi.
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