Tre licenziamenti, accuse di «trappola» da parte dei sindacati e uno scontro aperto fra azienda e lavoratori.
La vicenda è esplosa come un fulmine a ciel sereno nella grande distribuzione. Nel fine settimana del 18 novembre 2025, la catena Pam ha annunciato il licenziamento di tre cassieri operanti nei punti vendita di Siena e Livorno. A far scattare i provvedimenti disciplinari è stato quello che l’azienda definisce un controllo interno e che i sindacati bollano come un vero e proprio “test del finto cliente”.
Come funziona il “test del finto cliente”
Secondo le ricostruzioni, i dipendenti venivano messi alla prova da ispettori aziendali che si presentavano come normali clienti, riempivano il carrello con acquisti comuni ma nascondevano articoli di piccole dimensioni all’interno di confezioni più grandi. Se il cassiere non si accorgeva dell’oggetto occultato, veniva contestata una negligenza e, nei casi più gravi, la “giusta causa” del licenziamento.
I casi specifici e le reazioni
Il primo caso riguarda un cassiere di Siena con oltre dieci anni di anzianità. Nei giorni successivi, altre due verifiche analoghe hanno coinvolto dipendenti a Livorno, uno nel punto vendita di via Roma e uno nel quartiere Corea. L’azienda ha chiarito che i licenziamenti restano confermati e che non è previsto alcun reintegro.
Dalla parte sindacale la reazione è stata immediata. Massimiliano Fabozzi di Filcams Cgil Siena ha dichiarato: “I cassieri non sono poliziotti”. Sabina Bardi di UilTucs Toscana ha aggiunto che si tratta di “una trappola costruita per far sbagliare il lavoratore, con pressioni psicologiche difficilmente sostenibili”. Secondo i sindacati il metodo snatura il ruolo professionale di chi lavora alla cassa.
La legittimità del metodo messa in discussione
Dal punto di vista giuslavoristico la questione è delicata: il “cliente misterioso” è utilizzato da tempo in vari settori, ma la variante del “finto cliente con prodotti nascosti” solleva dubbi più profondi. Gli esperti ricordano che un controllo è legittimo solo se proporzionato, trasparente e finalizzato a verifiche non vessatorie. Quando invece si crea una situazione artificiosa e ingannevole, il rischio è quello di violare i principi di buona fede e correttezza.
Il punto critico resta la sproporzione: un conto è valutare la cortesia o la precisione del servizio, un altro è inserire nel carrello oggetti nascosti in modo tale da rendere difficile, se non impossibile, l’individuazione da parte del cassiere.
Un conflitto che travalica il singolo punto vendita
Le sigle sindacali hanno contestato apertamente il metodo adottato e il rifiuto dell’azienda di sostituire i licenziamenti con sanzioni meno drastiche. Filcams Cgil, Fisascat Cisl e UilTucs hanno annunciato mobilitazioni, ricorsi legali e una possibile iniziativa parlamentare. Il conflitto si estende dunque dal piano disciplinare al piano politico.
Molti osservatori fanno notare che, qualora questa pratica venisse normalizzata, potrebbe aprire la strada a controlli interni sempre più aggressivi, mirati in particolare verso lavoratori considerati “meno performanti” o con maggiore anzianità di servizio.
Perché la grande distribuzione osserva con attenzione
La vicenda tocca un nervo scoperto dell’intero settore. In un momento di crescente automazione e di margini ridotti, le aziende tendono a rafforzare i sistemi di verifica interna. Ma quando gli strumenti diventano punitivi anziché preventivi, il rischio è quello di deteriorare il clima aziendale e accentuare la precarietà percepita dai lavoratori.
I sindacati sottolineano che il contratto collettivo definisce in modo chiaro le mansioni: un cassiere ha compiti di gestione della cassa, non di vigilanza né di investigazione. L’attribuzione di funzioni improprie può generare un conflitto con il profilo contrattuale.
Cosa succede ora
I tre cassieri licenziati stanno valutando ricorsi davanti al giudice del lavoro. Le organizzazioni sindacali stanno preparando dossier per contestare il metodo utilizzato e per chiedere nuove garanzie normative sui controlli interni. Potrebbero seguire giornate di protesta nei punti vendita della catena e una richiesta di audizione presso il Ministero del Lavoro.
L’azienda, dal canto suo, continua a difendere il proprio operato sostenendo che si tratti di controlli finalizzati alla corretta gestione delle procedure interne e alla tutela del patrimonio.
Il confine sottile tra controllo e pressione indebita
La vicenda del “test del finto cliente” mostra come, nel settore della grande distribuzione, il confine tra controllo e pressione indebita possa diventare estremamente sottile. I licenziamenti di Siena e Livorno aprono una discussione più ampia sul ruolo dei lavoratori, sulla qualità delle relazioni industriali e sui limiti della sorveglianza interna.
Come ha sintetizzato un rappresentante sindacale: “Non è accettabile che un errore creato ad arte diventi giusta causa di licenziamento”. Il confronto che seguirà non riguarderà solo Pam, ma l’intero modello di gestione del lavoro nella grande distribuzione contemporanea.