Crisi nera per il dollaro: -12% rispetto all'euro da inizio pandemia

 
Da marzo ad oggi il dollaro sta subendo perdite fortissime, che in qualche modo contrastano l'idea che, nei periodi in cui la crisi è forte, è cosa saggia rifugiarsi in valori sicuri, quale ad esempio, da sempre, è il ''biglietto vedere''. Ed invece questa crisi, conseguenza della pandemia, ha portato il dollaro a perdere, nei confronti dell'euro, quasi il 12 per cento, fissando, a fine luglio, il rapporto a 1,19 (da 1,06).

Lo scorso mese di luglio, dal punto di vista del confronto tra le due valute, si è dimostrato devastante per il dollaro che ha perso il 5 per cento.
L'ampiezza del fenomeno si coglie meglio se, come ha fatto l'economista Jean Pisani-Ferry, si ricorda che, nei confronti del dollaro, l'euro ha toccato il suo minimo, a 0,82, nell'ottobre del 2000 ed il massimo storico, a 1,60, nel 2008.

Le oscillazioni registrate, dal 2008 ad oggi, ritenute ragionevoli, sono comprese tra 1,05 e 1,25. Ma ora il calo progressivo della fiducia nel dollaro, come valuta ''sicura'', sta andando di pari passo con una crescita dell'oro, che sta macinando record su record, essendo aumentato del 30 per cento dall'inizio del 2020.
In questi giorni il valore dell'oncia di oro ha toccato 1975 dollari.

Il calo del dollaro, in qualche modo, ora pone degli interrogativi sul suo futuro come moneta egemone, quella per la quale è stato coniato l'acronimo ''Tina'' (''there is no alternative''), come a dire che alla moneta Usa non ci può essere una alternativa. Per anni è stato questo il dogma ripetuto sino alla nausea, ponendo come motivazione la crescita economica del Dragone cinese e la debolezza dell'euro, conseguenza delle vicende europee.

In ogni caso il dollaro resta ancora la valuta di riserva di riferimento. Oggi il 62 per cento delle riserve è in dollari - il calcolo è del Financial Times -, cioè appena due punti in meno dal livello del 2008. Comunque alcuni analisti e economisti vedono per il dollaro un futuro incerto.

Stephen Roach, professore alla Yale University ed ex dirigente della Morgan Stanley, in un commento su Bloomberg, ha previsto che "il privilegio esorbitante del dollaro stia giungendo al termine'', preconizzando per la moneta americana un calo del 35 per cento. In questo sostenuto anche da Patrick Artus, economista capo della Natixis, che non esclude un ulteriore scivolone della valuta americana.

D'altra parte il deficit di bilancio americano dovrebbe raggiungere nel 2020 il 23,8% del prodotto interno lordo, cioè il doppio rispetto all'area dell'euro (11,7%). E queste sono previsioni del Fondo monetario internazionale (FMI). Un quadro nel quale si inseriscono anche le scelte della Federal Reserve, che ha abbassato i suoi tassi più della Banca centrale europea, che non poteva più avere tassi negativi. Peraltro la Fed sta intervenendo massicciamente sul mercato, acquistando i titoli delle società americane, ufficialmente per garantire liquidità al mercato, in realtà per evitare il loro fallimento.
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