Il caso Cospito esplode alla Camera, tra accuse, carte segrete e superficialità

- di: Diego Minuti
 
Massimo D'Azeglio (che, a metà dell'800 mostrava capacità di analisi che molti oggi possono sperare di avere, ma chissà dopo quanti anni di frequentazione con l'alta politica) discettava di Italia ed Italiani, sostenendo che, creata una entità nazionale, bisognava che chi ne faceva parte se ne dimostrasse degno. Perché puoi arrivare in cima alla montagna, ma poi girarti ed accorgerti che i resto dei tuoi compagni di cordata non ce l'hanno fatta. Non per colpa della neve o del ghiaccio, ma perché proprio non hanno avuto la capacità di starti dietro.

Il caso Cospito esplode alla Camera

Forse, a qualcuno dei compagni di cordata di Giorgia Meloni, leggere qualche pagina di D'Azeglio, così come di qualche testo teologico che riguarda la continenza, non farebbe male per evitare che il presidente del Consiglio, che ha già di suo una agenda fitta sulla quale concentrarsi quasi in modo esclusivo, debba rimettere insieme i cocci.
Lo spunto viene da quanto accaduto ieri alla Camera, protagonista Giovanni Donzelli (vicepresidente del Copasir) che di Fratelli d'Italia è il responsabile organizzativo, durante un dibattito che nulla aveva a che vedere con la vicenda dello sciopero della fame, portato avanti da Alfredo Cospito (anarchico insurrezionalista, condannato per il ferimento di un dirigente di Ansaldo e per un attentato a una caserma dei carabinieri) per protestare contro il regime di 41 bis al quale è sottoposto. L'episodio è la chiara rappresentazione che troppo spesso il sedere sui banchi della maggioranza viene ritenuto come un lasciapassare, una bacchetta magica che consente di fare anche cose che sarebbero precluse, o addirittura vietate.

Poco interessa, nel nostro ragionamento, la provocazione lanciata da Donzelli al Pd (al quale, dopo la visita di quattro parlamentari a Cospito, allora recluso a Cagliari, ha chiesto se il partito è con i terroristi o con lo Stato, domanda che non si deve commentare, facendola da sola) , quanto cosa gli abbia consentito di farla. Perché per riferire la circostanza di cosa si siano detti, in carcere, Cospito e un presunto killer di mafia, bisognava avere avuto accesso a carte alle quali l'esponente di Fratelli d'Italia non poteva nemmeno accostarsi. Trattandosi, per quel che se ne è capito, di una relazione riservata del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria al Ministero della Giustizia, da cui dipende.
Il mistero di quali vie tortuose quelle comunicazioni segrete abbiano percorso per arriva a Donzelli è stato lui a spiegarlo (dicendo, comunque, che da parlamentare era autorizzato a leggerle, cosa un po' difficile da sostenere, trattandosi in ogni caso di conversazioni tra due soggetti al 41 bis che potrebbero anche assurgere al rango di prove) dicendo, con deflagrante sincerità, che gli erano state rivelate dal suo coinquilino dell'appartamento di Roma.

E dietro quel ''coinquilino'' si cela Andrea Delmastro Delle Vedove, suo compagno di partito (e come lui sempre molto puntuto in dichiarazioni, dibattito e talk show) e, aspetto da considerare, sottosegretario alla Giustizia. Ovvero, il ministero da cui dipende il Dap. Troppo semplice o troppo complicato? Lasciamo ad altri l'arduo compito. Noi ci limitiamo a dire che - come costume della politica italiana: nessun partito ne è mai stato immune - l'appartenenza partitica supera i limiti del mandato istituzionale. Perché in questa storia, per quello che ne è l'aspetto parlamentare, si mischiano rapporti amicali (addirittura di coabitazione) , comuni militanze partitiche e strumentalizzazione (di carte che, a rigore di logica e fors'anche di codice, dovevano restare segrete fino a quando un magistrato ne avesse deciso l'utilizzo e in che modo). E che le cose non siano andate per il verso giusto trapela anche dalle forti perplessità (forse un eufemismo) che vengono attribuite al guardasigilli Carlo Nordio.

A meno che il disvelamento del contenuto di quelle carte non sia servito solo per portare avanti una iniziativa politica, da ''mors tua, vita mea'', studiata a tavolino e quindi affatto improvvisata. Anche se c'è da chiedersi se questo Pd, come opposizione, faccia in qualche modo tanta paura da giustificare un attacco portato con queste modalità. Che poi l'intemerata di Donzelli sia arrivata appena poche ore dopo che Giorgia Meloni ha ''consigliato'' a tutti, compagni di partito e alleati, a usare con parsimonia le parole è un fatto che resta apparentemente incomprensibile. Perché ci sta che si attacchi l'avversario politico, ma che per farlo (tacendo delle pesantissime allusioni, che non devono sorprendere) si faccio uso disinvolto, quasi sconsiderato, di atti che non erano e non dovevano essere rivelati, segnala che la strada per alcuni compagni di viaggio di Giorgia Meloni è ancora molto lungo, come ampia è la distanza tra parlamentari e statisti.
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