Il documentario “Corpo libero” prova a scardinare il tabù: l’obesità non come colpa o difetto estetico, ma come patologia cronica. È il messaggio portato ieri a Roma, dove medici, istituzioni e mondo associativo hanno legato la pellicola al nuovo quadro normativo che per la prima volta riconosce la malattia sul piano regolatorio.
“Corpo libero”, il documentario che ribalta lo sguardo sull’obesità: la voce ai pazienti
“Cala il sipario sullo stigma”, ha spiegato Federico Villa (Lilly), ricordando come la legge italiana rappresenti un unicum internazionale: l’obesità definita per natura recidivante e refrattaria, non come scelta personale o mancanza di volontà.
La voce dei pazienti, non degli slogan
La narrazione viene affidata alle storie. Non numeri, ma persone. A guidare il racconto l’attrice Stefania Rocca (nella foto), che parla di “grassofobia quotidiana” e di un’estetica imposta più che scelta. “Nei modelli che vediamo ogni giorno, chi ha un corpo non conforme diventa bersaglio. Partecipare a questo progetto è stato mettere luce dove spesso si spegne lo sguardo”. Il film scardina l’idea dell’obesità come difetto individuale: mette in fila cadute, tentativi, percorsi clinici, ricadute psicologiche.
La medicina che ascolta
Nella discussione pubblica, l’inquadramento clinico è arrivato dalla professoressa Annamaria Colao, vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità: “Il punto non è prescrivere una dieta. È capire la storia del paziente, cosa lo ha portato lì, e costruire un percorso che non è reversibile a metà”. Personalizzazione, diagnosi accurata e continuità terapeutica sono gli elementi centrali. La terapia, spiegano gli esperti, oggi combina approccio nutrizionale, movimento adattato, farmaci e supporto psicologico.
“Non estetica, ma salute”
A sottolineare il cambio di passo è anche il medico nutrizionista Edoardo Mocini: “Serve smettere di considerare l’obesità un vizio. È una patologia cronica che richiede strumenti clinici adeguati”. Il documentario, aggiunge, diventa un pezzo del percorso culturale: “Prima di curare il corpo bisogna curare lo sguardo di chi sta fuori”.
Lo scontro culturale
Il talk che ha seguito la proiezione ha fotografato il nodo politico: l’obesità è ancora trattata più come giudizio che come malattia. L’on. Marrocco ha rivendicato la legge approvata a inizio ottobre: “Primo Paese al mondo a riconoscerla. Ora serve che la comunicazione faccia lo stesso passo”. La professoressa Colao ha aggiunto una critica interna al sistema: “In Medicina insegnano la tecnica, non la relazione. Il rischio è avere professionisti preparati, ma pazienti soli”.
I volti dietro il racconto
I due autori di Telomero Produzioni, Donatella Romani e Roberto Amato, hanno chiuso riportando il problema nel suo punto più concreto: lo sguardo sociale. “Non è facile raccontarsi, soprattutto quando sei giudicato prima ancora che ascoltato”, ha detto Romani. Amato è stato diretto: “Chi è obeso è ancora oggetto di scherno. I social amplificano tutto. Si finisce isolati”. Il documentario prova a invertire la traiettoria: far parlare chi vive la patologia, non chi la osserva da fuori.