L'ipotesi di spostare il coprifuoco spacca il governo
- di: Redazione
Un'ora, appena sessanta minuti che volano via, ma che però, per il futuro del Paese potrebbero essere importantissimi perché, appunto su questa benedetta ora, si va consumando una spaccatura in seno all'esecutivo di Mario Draghi dagli esiti oggi poco prevedibili. La spiegazione è semplice: il governo, davanti all'attuale situazione della pandemia, ha deciso di aprire i locali pubblici (bar, ristoranti, palestre, teatri, cinema, teatri), ma seguendo un calendario molto definito. Troppo definito per il capo politico della Lega (e anche per Fratelli d'Italia, che pressa, ma dall'opposizione), che ieri ha imboccato una strada che potrebbe rendere molto corta la vita dell'esecutivo.
La decisione di Matteo Salvini di fare astenere in suoi ministri (non si sa se tutti veramente convinti di questa linea) sul decreto che definisce il nuovo cammino delle riapertura ha preso spunto dalla determinazione del premier di confermare il coprifuoco alle 22 e di non consentire ai ristoranti di lavorare in locali chiusi. Ma è stato soprattutto il punto del coprifuoco a 'spaccare' il fronte della coalizione di governo, come se appunto quei sessanta minuti potessero determinare chissà cosa nel panorama sanitario del Paese.
Sigillare la gente in casa alle 22 o alle 23 non pensiamo sposti di molto l'asticella del potenziale contagio, ma certo spostare la chiusura di tutto di un'ora forse contribuirebbe a ridare un pizzico in più di speranza (e sì, è di questo che parliamo: speranza che la fine sia ormai a portata di mano, sia pure con tutte le cautele che gli esperti consigliano) ad un Paese che comincia ad essere, oltre che fisicamente ed economicamente, soprattutto mentalmente stremato. Probabilmente posticipare il coprifuoco sarebbe stata giudicata una sconfessione della linea della fermezza, del rigore, della cautela, ma forse - ed è la prima volta che lo diciamo dall'esplodere dell'epidemia - i vantaggi in termini di fiducia nel futuro sarebbero stati evidenti, anche se pur con un ragionevole margine di rischio.
Ma non bisogna ignorare l'aspetto politico che è egualmente importante, perché il quadro che l'approvazione a maggioranza del decreto si lascia dietro è quello di una coalizione che, nei fatti, è mancata quando invece la coesione doveva essere preponderante, vista la delicatezza dei provvedimenti assunti. Al netto del 'casus belli' appare evidente che Matteo Salvini intende portare avanti una tattica di logoramento dentro il governo, accreditandosi tutto il bene che l'esecutivo fa e prendendo clamorosamente, fragorosamente le distanze da quei provvedimenti che la pancia del Paese (almeno quella a cui lui fa riferimento per accaparrarsi consenso) non accetta.
Il ragionamento ''ringraziate me e solo me'' quando capisce che alcune decisioni del governo sono accettate da tutti è esercizio facile, politicamente remunerativo, ma è un giochino che a lungo andare crea delle frizioni dentro l'esecutivo destinate a diventare fratture non rimarginabili. Lo stare al governo, ma fare l'occhiolino all'elettorato di destra che Giorgia Meloni gli sta portando via, è un meccanismo che può reggere sino a quando Mario Draghi non individuerà più motivi per andare avanti, con la prospettiva di un passo indietro che oggi, con il Recovery fund da elaborare e fare accettare da Bruxelles, appare ancora lontano, ma che potrebbe esserlo molto di meno se Salvini continuerà a segare la base della fragile palafitta del governo.