Recovery Fund: Conte ha vinto, ma ora non cerchi di stravincere
Fa probabilmente bene Giuseppe Conte ad intestarsi la vittoria europea, visto la conclusione positiva del lungo braccio di ferro di Bruxelles sugli aiuti Ue ai Paesi messi in ginocchio dalla crisi da Covid-19. L'esito favorevole della trattativa si deve alla sua presa di posizione determinata e concreta nei confronti di chi, come i Paesi Bassi, hanno ostacolato manifestamente l'accordo, strappando comunque un diritto di intervento sulle politiche degli Stati che non rispetteranno le regole alla base dell'intesa.
Una vittoria politica che riguarda sia il fronte europeo (dove l'Italia ha dimostrato di sapersi difendere dalle ingerenze troppo strumentali di Paesi che ritengono di detenere il primato dell'efficienza e dell'onestà), sia quello interno. Ma con dei distinguo che bisogna fare.
Perché - forse tradendo una mancanza politica di base, con tutto quello che questo può significare - ora Giuseppe Conte, consapevole d'avere vinto, sembra volere stravincere. E questo ''stravincere'' è rivolto in casa propria perché, quando lo champagne era stato appena stappato e tutti stavano brindando al successo dell'Italia nella trattativa, Conte ha subito detto che la gestione dei fondi sarà in capo al presidente del Consiglio, ovvero a sé stesso.
Una affermazione che può essere letta in modi diversi perché dimostra certamente la consapevolezza che gli aiuti europei, questi aiuti, non possono correre il rischio dei tanti che li hanno preceduti e che l'Italia ha sprecato.
Ma anche la consapevolezza che la strategia attuativa del piano di rilancio ha bisogno di una regia unica, che possa garantirne l'efficacia. Ben detto, ma se poi Conte aggiunge che tutto passerà da palazzo Chigi, se tutto ''sarà'' Palazzo Chigi, c'è qualcosa che suona un po' stonata, per non dire fuori luogo. Perché questa affermazione giunge quando ancora si discute (anche se Conte ha già deciso per il no) se e come utilizzare il Mes e si preannuncia come necessario un coinvolgimento o almeno un confronto con le opposizioni sulla gestione degli aiuti. Cosa quest'ultima che certo non dispiacerebbe al Presidente della Repubblica.
Se già dici che vuoi essere tu (o chi per te, ma sempre sotto la volta di palazzo Chigi) a gestire e dirigere tutto, le opposizioni potrebbero ritenere assolutamente inutile farsi chiamare ad un tavolo di confronto che si preannuncia per loro già ora come assolutamente privo di efficacia.
Perché, potrebbero chiedersi, andare a parlare di qualcosa su cui c'è già un preciso progetto che non potremmo mai modificare?
Questo atteggiamento accentratore di Giuseppe Conte è anche conseguenza del fatto che, almeno ufficialmente, il presidente non ha mai frequentato le stanze della politica, cosa che potrebbe avere anche una accezione positiva se questo significasse essere sganciati da logiche spartitorie o, peggio, rapaci. Ma la politica, quella vera, non è sedersi ad un tavolo e tracciare delle linee e tirare somme. È soprattutto - e lo dico parafrasando Giorgio Gaber - partecipazione e se, ancora prima che i soldi arrivino, Conte taglia fuori tutti, persino gli alleati, la strada che ha disegnato per sé e per il gruppetto di consiglieri di cui si circonda è, contestualmente, spianata, ma non sgombra di potenziali ostacoli.
La politica del passato, quella della concertazione che diventava spartizione, non può più trovare ospitalità in casa nostra perché le conseguenze di quel modo di intendere la gestione della cosa pubblica sono ancora evidenti. Ma dire, quando ancora molte cose sono da mettere a punto, che tu e solo tu sarai il regista della ''Rinascita'' mette in un angolo non tanto le opposizioni - alle quali forse hai fatto un regalo politico, dando materia per continuare ad attaccare l'esecutivo -, quanto quelli che sono alleati, rimasti fedeli, nonostante tutto.