Covid-19: è davvero necessario prorogare lo stato d'emergenza?
- di: Diego Minuti
La proroga sino al 31 ottobre dello stato d'emergenza che il governo intende disporre (adducendo la necessità di darsi la possibilità di adottare una serie di misure urgenti senza fare ricorso ad un confronto parlamentare) sta riportando il dibattito non sulla gravità della situazione che il Paese sta vivendo per effetto del Covid-19, quanto sulla oggettiva esautorazione di parte del ''corpo politico'', inteso come quella porzione delle Camere che non sostiene l'esecutivo e che vuole esprimere o meno il suo dissenso.
Il ricorso continuo alla decretazione emergenziale è certamente l'ultima ratio alla quale un esecutivo può ricorrere per fare fronte ad una situazione di eccezionale gravità, che impone tempi strettissimi decidere ed attuare misure rese necessarie per l'impossibilità di fare altrimenti.
Ma qui il discorso è diverso perché, rispetto all'alba di questa emergenza, la situazione è oggettivamente migliorata e, quindi, il livello di pericolosità della pandemia si è abbassato, senza con questo affermare che bisogna allentare la forza coi cui si contrasta quanto il Covid-19 determina. Il fatto che pone qualche interrogativo è l'indeterminatezza del termine temporale del 31 ottobre. Perché il presidente del Consiglio sembra volere prolungare lo stato d'emergenza sino a quando i dati sulla pandemia non attestino, al di là di possibili seconde ondate, che il pericolo di contagi è azzerato o comunque talmente basso da rendere improbabile l'accendersi di nuovi focolai. E se, il 31 ottobre, queste certezze non ci siano cosa si fa? Si decide un'altra proroga.
Il problema comunque non è esclusivamente politico, ma anche di rispetto della democrazia partecipativa.
Se, adottando una raffica di decreti, il governo di fatto neutralizza l'azione del parlamento (ed in esso delle opposizioni), non concedendo voce alle minoranze, non la dà anche a quei cittadini che, votando, hanno espresso una idea diversa da quella su cui poggia il governo.
Cittadini che magari potrebbero non accettare, come invece hanno fatto quando la pandemia aveva numeri da paura, di sottostare a misure ai loro occhi non necessarie o forse esagerate rispetto alla reale gravità della contingenza.
Nessuno mette in dubbia la buonafede dell'esecutivo e di Giuseppe Conte che lo guida in un periodo doloroso e delicatissimo per il nostro Paese, ma forse è giunto il momento di alzare il piede sull'acceleratore della decretazione d'urgenza per fare riprendere al Governo la strada parlamentare.
Si dirà che anche quando l'Italia non era stata investita dalla pandemia il Parlamento non era certo l'agorà in cui maggioranza ed opposizione di affrontavano su ogni singolo provvedimento, ma questo non sposta il focus da un confronto che non c'è, se non a livello di dichiarazioni che in nulla incidono su decisioni già prese.
L'Italia ha forse dimostrato maturità nel modo in cui s'è fatta accompagnare dal Governo lungo la strada di contrasto alla pandemia e certamente s'è dimostrata più matura di una parte della classe politica che ha cercato di speculare su morti e contagi. Ma questo è un problema della politica, non del Paese, quello vero, quello che vedi per strada, che va a lavorare, che sale sui mezzi pubblici indossando la mascherina e cercando, nei limiti del possibile, di adempiere a tutte le prescrizioni dettate solo per preservare la salute pubblica.
Continuare a dire che siamo in un periodo talmente grave da imporre il prolungamento dello stato di emergenza forse non dà atto all'Italia dei sacrifici che ha fatto, perché se il tetto dei morti non è molto più elevato è anche conseguenza del fatto che l'intero Paese ha, doverosamente, pensato agli italiani (ed anche a chi italiano non è) nella loro totalità. Ma ormai la politica si fa anche sulla pelle della gente e chi oggi si scopre esperto o virologo lo fa solo per alimentare il proprio consenso, raccattando ''like'', vera unità di misura non dello spessore di un politico, ma della macchina di comunicazione che lo accompagna.
Il rischio che si corre è quello di dare modo ad alcuni esponenti politici di cercare la passerella, consentendogli di trasmettere un messaggio tranquillizzante che è, a dir poco, avventato. O, peggio, approfittando del fatto d'essere personaggi pubblici, di sparare fesserie degne di un bambino di due anni, per poi lanciare l'accusa d'essere stato frainteso, ormai una formula magica per addebitare agli altri di non avere capito parole invece inequivocabili, come quelle di Andrea Bocelli, che nel privato è padrone di dire quello che vuole, ma che, davanti ad un microfono, dovrebbe porre attenzione a quello che sostiene.
Comunque a lui, che ha minimizzato l'emergenza dicendo di non avere, nella cerchia dei suo amici nessuno finito in rianimazione, possiamo dare un consiglio: abbia rispetto per chi ha sofferto e per chi, per la pandemia, ha perso una persona casa. Lo faccia per loro, ma anche per lui stesso. L'essere famoso non le dà la patente per offendere chi non c'è più.