Una crisi delicatissima voluta dalla non politica
- di: Diego Minuti
Ci sono definizioni ormai entrate nel linguaggio quotidiano, come "non politica" ed "anti-politica", che fino a qualche anno fa erano pressoché sconosciute.
Con la seconda, la cosiddetta anti-politica, si potrebbe tranquillamente tradurre un atteggiamento di cui i Cinque Stelle si sono fatti forti, nella marcia di avvicinamento al Palazzo annusando il vento della rabbia popolare, ma che, una volta assaggiati i dolcissimi frutti del potere, è passato, quasi rimosso dalla memoria collettiva del movimento. Ma qui vogliamo parlare della "non politica" che sembra guidare la crisi che si è abbattuta sull'Italia.
Una crisi che oggi ha avuto la prima delle due giornate cruciali, con il passaggio alla Camera del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che, con un chilometrico intervento, ha spiegato cose che tutti conoscevamo, tracciando lo scenario al quale l'Italia dovrebbe appartenere: investimenti, riforme, innovazioni, promesse, europeismo.
Ma, come detto, sono stati argomenti che ci si aspettava di sentire e che Conte ha declinato con un occhio alle alleanze e, soprattutto, alle frizioni. Come quelle con Italia Viva, che sono sfociate nella crisi. Domani Conte andrà al Senato, dove la situazione è parecchio più complessa rispetto alla Camera (da cui otterrà la fiducia).
L'immagine che è emersa dalle parole e dalle argomentazioni di Conte è quella di una frattura profondissima con Renzi & company, ma non insanabile se Italia Viva accetterà il concetto che è forse meglio avere cose poche e certe che non il nulla.
Il patto di fine legislatura (con una ridefinizione della squadra di Governo) proposto da Conte non appare una semplice via d'uscita alla crisi, ma un piccolo passo verso i dissidenti, quale sia la casacca che essi oggi indossano. Ma queste sono strategie, non certo soluzioni.
Ed è questa la "non politica" cui facevo cenno, perché nessuno - ad eccezione di quelli che stanno giocando (non in senso ludico) con il futuro del Paese - sembra volere essere veramente chiaro, facendo continuo ricorso ad un uso esasperato del "dire e non dire", delle allusioni, degli ammiccamenti. Cose che avrebbero fatto felice Machiavelli, ma che rendono ancora più incomprensibile quando sta accadendo.
Conte, a caccia di consensi in Parlamento per raccogliere una maggioranza intorno a lui, ha messo insieme una massa enorme di argomenti per dire che il Governo ha lavorato al meglio e che la crisi ha messo in stand by un epocale cammino di rinascita e che quindi la situazione che si è determinata è conseguenza della ostinazione di pochi, se non addirittura di uno solo.
Un modo di proporsi all'aula comprensibile, ma che forse è andato anche più in là parlando - argomento questo a lui caro in queste settimane di fibrillazione politica - di un solido patto di fine legislatura ed aprendo anche ad un rimaneggiamento della squadra di Governo. Ma, avendo come obiettivo quello di proporre il suo esecutivo come l'unico in grado di traghettare il Paese fuori della pericolose procelle della crisi, ha messo sul piatto anche una riforma elettorale in senso proporzionale, che farà gongolare parecchi e lamentare pochi.
E Renzi?
Già, Renzi, nei confronti del quale, per come era scontato, Conte ha attuato una formula di "terra bruciata" cercando di cancellare, al leader di Italia Viva, tutti gli argomenti cui appigliarsi per proseguire nella sua corsa contro l'attuale esecutivo. Sulla sanità, ha detto il premier, abbiamo fatto il meglio, così come per l'economia, l'occupazione, le donne, le categorie disagiate, i giovani. Ma, c'è da chiedersi, se effettivamente il Governo ha fatto di tutto e di più, non è che la questione è di supremazia personale tra due premier (uno in carica, l'altro ex)?
Anche il fatto che Conte abbia fatto il classico passetto di lato sulla delega ai servizi sembra chiarire che, pur di mantenere in vita l'esecutivo, il presidente del Consiglio ha messo da parte un pezzo del suo ego, che è tanto.
Anche perché oggi, alla Camera, Conte ha detto una verità che è solo sua, ovvero quella di avere sempre agito, in questi difficilissimi mesi, in piena collegialità e di avere sempre avuto nel Parlamento un interlocutore. Una cosa che è così solo per lui, ma forse, in un momento come questo, può anche bastare.