Crisi: nessuno è perfetto, nemmeno Giuseppe Conte
- di: Diego Minuti
Non sappiamo ancora come andrà a finire questa che è una delle più strane crisi politiche del Paese, anche se i rumors delle ultime ore parlano di una possibile "stampella" al Senato fornita al presidente del Consiglio da un gruppuscolo di "ex qualcosa". Quindi, se tutto andrà per come pare, Giuseppe Conte resterà in sella, dopo i passaggi alle Camere per spiegare la crisi, dicendo forse che Renzi e brutto e cattivo e che lui, il presidente del consiglio, è il meglio che si possa trovare in circolazione.
Mentre Renzi è rimasto con classico cerino in mano (conseguenza probabilmente di qualche calcolo politico errato, che forse gli aveva dato la certezza che gli altri alleati della maggioranza, pur di non andare alle elezioni, avrebbero sacrificato il premier) , ora Giuseppe Conte si prepara a gustarsi la sua vittoria.
Ma forse sarebbe il caso che prenda l'accaduto come una lezione e che, finalmente, faccia quel bagno di umiltà che potrebbe essere utile nella prosecuzione del suo mandato e, quindi, nel condurre l'esecutivo sino alla fine della legislatura.
Quale che sia l'esito di questa crisi da "armata Brancaleone", Conte deve cambiare qualcosa nella sua personalissima interpretazione dell'incarico che, con il passare dei mesi, ha sempre di più ritenuto che gli abbia dato una statura da statista che, a nostro avviso, non è in realtà che abbia.
Forse, dall'esterno (e non conoscendo le cose che si nascondono dietro le alte barriere della politica ufficiale), un paio di consigli ci sentiamo di darli a Conte. Il primo riguarda le misure che, una volta confermato nell'incarico, dovrà adottare velocemente per salvare il Paese dal baratro. E il consiglio è quello di guardare un po' oltre il suo limitato orizzonte politico.
È forse è arrivato il momento di alzare il piede dall'acceleratore dei bonus a pioggia, adottati nel solco di quelle misure che, di matrice grillina, hanno fallito, contribuendo ad allargare il deficit. Le micro-provvidenze sono un rimedio i cui effetti si esauriscono in breve tempo e lasciano poco in termini di prospettiva.
Ci pensi, Conte, e ci pensino anche i ministri che, preposti al controllo della spesa o alle misure ad essa collegate, non possono guardare alle proteste di oggi non pensando al disastro di domani. Aprire qui e chiudere lì, fare eccezioni qui ed inasprire lì sono cose che, come il ditino del bimbo nel buco della diga, non sono la soluzione. È, questo modo di pensare, figlio di un pensiero che non è solo italiano, ma della classe politica europea.
Come giustamente disse (l'oggi tanto vituperato) Mario Monti, parlando di una "patologica dipendenza del consenso a breve". Un concetto che era e resta una critica ad un modo di pensare al consenso come base necessaria per governare. Ma non è sempre così. Ci sono innumerevoli casi nella Storia che dicono che la rincorsa al consenso, sempre e comunque, non porta da nessuna parte e, semmai da qualche parte fa arrivare, è solo al disastro economico. Basta, per tutti, l'esempio di Juan Domingo Peron, che l'Argentina idolatrò per provvedimenti che sanavano le richieste della gente, ma indebolivano l'economia generale. Con il risultato di avere lasciato il Paese molto più povero di come l'aveva trovato. Che poi gli argentini lo abbiano richiamato al potere, a distanza di 18 anni, è una conferma di come la sfera emozionale di un popolo è cosa difficile da comprendere, ma non altrettanto difficile da conquistare.
Ma la situazione attuale della politica italiana forse non consente ragionamenti "alti" su come rapportarsi al popolo elettore, soprattutto perché una delle componenti determinanti della maggioranza sta dimostrando la sua pochezza. Perché altrimenti non si potrebbe definire quanto sta accadendo in casa Cinque Stelle dove un manipolo di senatori avrebbe posto, come irrinunciabile condizione per votare la fiducia a Conte, il no al Mes ed anche in parte al Recovery fund. Se non siamo al masochismo, poco ci manca.
La gestione della intricata contingenza, con la necessità di risolvere prima possibile tutti i problemi, spetta a Giuseppe Conte che però dovrebbe abbassare di un paio di tacche un'autostima che l'Italia non si può più permettere, se essa è foriera, come lo è stata, di incomprensioni e insostenibilità. Il tentativo di Renzi di sostituirlo è stato forse intempestivo, vista la gravità del momento che il Paese sta attraversando, ma è nato (oltre che dalla spericolata visione della politica dell'ex segretario del Pd) anche dall'evidenza di un modo troppo personale ed accentratrice di incarnare la figura del presidente del Consiglio.
Il premier - tutte le mosse del quale sembrano essere finalizzate alla precostituzione di una sua futura base elettorale - dovrebbe agire accantonando per un po' l' "io" e pensare in un'ottica del "noi". Accetti le critiche, se sono costruttive. Non si rinchiuda a riccio se qualcuno gli addebita comportamenti errati, perché, a differenza di Qualcuno che occupa l'ultimo piano, non è infallibile. Può sbagliare come tutti, anche se non gli viene facile ammetterlo.
A Giuseppe Conte ricordiamo l'ultima, celeberrima battuta di "A qualcuno piace caldo", quando il personaggio Osgood Fielding dice a Jack Lemon, en travesti, che gli aveva appena confessato di essere un uomo e che quindi non poteva accettare la sua proposta di matrimonio: "Nessuno è perfetto".