Giuseppe Conte e l'Italia che non c'è
- di: Diego Minuti
Vorremmo, se ci è consentito farlo, dire al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che vive in un'Italia reale, che pulsa, che ama, ma è capace anche di interrogarsi e persino di indignarsi quando si vede messa da parte. Se fosse possibile rivolgersi direttamente al nostro primo ministro, vorremmo, con la massima umiltà, dirgli che non è un novello Peter Pan e che, a differenza dell'Isola che non c'è, l'Italia esiste e chiede, pretende, reclama chiarezza.
La politica portata avanti dal presidente del consiglio, che pure, nel periodo iniziale della pandemia aveva raccolto consensi che andavano ben oltre i suoi reali meriti, ora mostra evidenti segnali di una deriva personalistica, quasi che la carica, i suoi atti e le sue decisioni gli regalino una statura di statista che pure aveva a portata di mano ma che ha perso di contorni, mano a mano che lui, Conte, si convinceva che l'emergenza gli dava carta bianca. Così non è in un Paese normale, quello in cui il comportamento di un primo ministro, espressione di una maggioranza parlamentare, deve restare emendabile anche da chi, formalmente, gli è accanto nella maggioranza.
Ieri, in aula a palazzo Madama, Matteo Renzi, il vituperato, l'utilitarista, lo spregiudicato, lo smargiasso è tornato a fare politica, con un discorso che, al di là di effetti speciali e luci stroboscopiche, ha messo Conte davanti ad una scelta: o torna a fare il presidente del Consiglio, lasciandosi alle spalle la tentazione di sentirsi e comportarsi come se fosse il solo ad essere indispensabile, oppure prenda atto dell'apertura di una crisi.
Il nodo, capiamoci, non è solo la macchina che Conte vuole mettere in piedi per governare l'utilizzo dei fondi europei (di fatto scavalcando i ministri e quindi affossando il primato della politica), ma tutti i suoi più recenti comportamenti che sembrano prefigurare, almeno nella sua testa, un'Italia diversa, ma non per questo migliore. Cercare di fare ingoiare ai partiti (ed agli uomini che li rappresentano nel Governo) che tutto sarà in mano ad una cabina di regia, la cui composizione dipende da lui e lui soltanto, è una impresa quasi impossibile, a meno che non si faccia balenare lo spettro di una crisi al buio, dagli sviluppi impossibili da prevedere.
Se a questo disegno si aggiungono alcune manovre da basso Impero di cui non si comprende l'urgenza (come quella della fondazione legata ai servizi segreti da infilare in provvedimenti con i quali essa non ha alcuna attinenza) è abbastanza chiaro da dove derivino i mal di pancia non solo di Italia viva, ma anche di alcuni settori dei Pd per i quali non si può accettare tutto per spirito di servizio e senso di responsabilità. Non è così che gli alleati meno convinti dell'operato del premier vogliono continuare a fare parte della maggioranza.
Al di là dei fuochi pirotecnici portati in aula da Matteo Renzi (che, almeno ieri, è sembrato quello d'un tempo), il braccio di ferro ingaggiato con Conte - che dà l'impressione di guardare sempre con eccessivo distacco quello che gli accade intorno - si condensa in un concetto, su cui il presidente del consiglio dovrebbe riflettere: i soldi che stanno arrivando dall'Europa sono certo una conquista, ma anche una responsabilità. Un peso che però Conte vuole portare da solo.