Chipping Barnet è questo il nome del quartiere a nord di Londra dove risiede una comunità di 26 donne over 50. Quello che sembrava essere una Utopia, è diventato un progetto reale gestito interamente dalle donne che lo hanno creato come alternativa al vivere da sole.
Alternativa al vivere da soli? Il cohousing in GB è già realtà, ma tutta al femminile
Un quartiere residenziale immerso nel verde, New Ground è una struttura con 25 appartamenti che si affacciano su di un bel giardino con fiori di campo, bacche e un frutteto. Si, perché il Cohousing non è una comune. Ogni residente ha una propria indipendenza nel proprio appartamento, e soltanto alcuni spazi sono condivisi. La sala riunioni comune viene utilizzata per cene settimanali, serate cinematografiche e lezioni di yoga.
È prevista anche una suite per gli ospiti, anche uomini. Perché certamente la struttura non esclude fratelli, padri, figli o amanti che vogliano venire a trovare le ospiti, soltanto non possono rimanere a viverci in modo permanente.
Le ospiti sono di età compresa tra i 58 e i 94 anni, tutte ancora fortemente attive nella comunità, alcune ancora dedite al proprio lavoro. Quindi occorre andare un po' oltre lo stereotipo delle “persone anziane”.
È indiscutibile che i tempi siano oramai maturi perché questo modello abitativo possa trovare sviluppo e supporto, non solo in Gran Bretagna, soprattutto se si guarda alle fasce di età over 60.
“Nel 2021, 3,64 milioni di persone di età superiore ai 65 anni vivevano da sole nel Regno Unito, il 70% delle quali erano donne. Secondo l'ultimo rapporto del Centre for Ageing Better, nel giro di 10 anni gli over 65 passeranno dal 19% al 22% della popolazione. Ancora più preoccupante è il fatto che il numero di anni che possiamo aspettarci di trascorrere senza una malattia invalidante continua a diminuire: ora è di 62,4 anni per gli uomini e 60,9 anni per le donne. Nonostante queste statistiche, il Cohousing in Gran Bretagna è ancora agli inizi. Quasi 20 anni dopo l'apertura del primo progetto di nuova costruzione del Regno Unito, Springhill, uno sviluppo intergenerazionale, a Stroud, ci sono ancora solo 302 case in 10 comunità di nuova costruzione.” (Fonte: Anita Chaudhuri-The Guardian-agosto 2023).
Questo ritardo nello sviluppo probabilmente è attribuibile all’evoluzione lenta, ma inesorabilmente decisa del progetto stesso. Come ha affermato l’ideatrice del Cohousing a Chipping Barnet, Maria Brenton “Le donne che hanno iniziato questo progetto erano irremovibili sul fatto che non volevano sedersi in una stanza a cantare Daisy Daisy e Pack Up Your Troubles per il resto della loro vita", dice. "Ci siamo opposte ferocemente all'ageismo e al paternalismo, all'infantilizzazione delle persone anziane da parte dei servizi di assistenza sociale".
Proprio in linea con questa filosofia, a New Ground sono le donne a gestire ogni aspetto organizzativo ed economico: i compiti sono divisi tra squadre di volontarie responsabili della manutenzione, del giardinaggio, delle comunicazioni, delle pulizie e delle questioni legali. Non delegare queste mansioni all’esterno è proprio dello spirito del cohousing che obbliga a essere impegnate e attive per la comunità in modo sano e responsabile.
Questo modello abitativo è un fenomeno molto diffuso anche in Europa soprattutto nel nord: in Svezia e in Danimarca fino al 2% della popolazione interessata sperimenta il Cohousing. Dagli anni '80, il governo olandese ha incoraggiato i 'Living groups' come alternativa alle costose case di cura e agli istituti di assistenza. In questo modo il governo avrebbe certamente avuto un risultato a livello economico, ma anche sociale permettendo alle persone over 50 di sostenersi a vicenda e rimanere più sane, più felici e più attive.
In Italia i progetti di Cohousing sono circa 28, localizzati per lo più nel nord. Potrebbe certamente diventare un potenziale asset, poiché questo stile abitativo risponde non solo all’esigenza di socialità, legata alla crescente percezione di solitudine abitativa, ma anche all’opportunità di poter godere di servizi comuni di qualità, usufruendo di una alta prestazione energetica che possa abbassare i costi.
Tra i progetti in essere possiamo annoverare Borgo Cornalese a qualche km da Torino. Si tratta di residenze private con spazi comuni pensati per favorire la collaborazione e la socializzazione, tutto all’insegna della sostenibilità: l’energia è prodotta con il fotovoltaico, con le nuove abitazioni di classe energetica A/A+.
A Ferrara, invece esiste la Cohousing Solidaria, una associazione di promozione sociale unita “…non da una religione o da una ideologia, ma semplicemente dal desiderio di vivere ed abitare in modo collaborativo, l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità e buon vicinato, il desiderio di ridurre lo stress quotidiano riuscendo a conciliare i tempi di lavoro e di vita…” (Fonte: Cohousing Solidaria). Con questo stile abitativo il risparmio è di circa il 15% delle spese mensili di una famiglia.
Se nella nostra economia occidentale, il consumatore ideale è quello che non sa fare niente e quindi necessita di spendere nei servizi, la filosofia del cohousing mira all’opposto: si organizzano laboratori di gestione partecipata delle risorse, dei servizi e delle competenze.
A parte qualche rara eccezione, l’impressione è che in Italia il fenomeno non riuscirà ad attecchire almeno nel breve periodo, se prima non cambia un po' la mentalità dell’italiano medio. Il Cohousing sembra essere ancora percepito come una stravaganza, una originalità, non come una opportunità, visti anche i costi delle case, delle spese di condominio ed energetiche.
Invece, la scelta di questo modello sarebbe molto conveniente soprattutto nella società italiana.
L’esempio di Ferrara potrebbe convincere anche i più scettici.
Ma la maggior parte del Cohousing in Italia è stato frainteso come affare immobiliare, meramente economico di sfruttamento di un trend dall’alto. Al contrario, la spinta più importante dovrebbe provenire dal basso come esigenza di aggregazione tra individui, nello spirito di associazionismo e collaborazione. Quello spirito che gli italiani tirano fuori nei momenti di crisi. Ma un inizio è pur sempre un inizio.