Case Green: passa la riforma, ma si spacca l'europarlamento. Il no italiano
- di: Redazione
Si chiama ''Energy Performance of Building Directive'' e su di essa l'europarlamento ha espresso oggi parere positivo, con un voto che ha spaccato in due il fronte politico, sacrificando la ragionevolezza ad un ambientalismo estremo che sembra non tenere conto della realtà e di come questa decisione sia destinata a creare molti problemi prima di raggiungere i pur lodevoli obiettivi per contrastare i mutamenti climatici.
Il Parlamento europeo si è espresso, in prima lettura, sulla direttiva che impone nuove regole energetiche per il patrimonio immobiliare, sia pure con delle distinzioni che però non risolvono i problemi legati a molti aspetti dell'efficientamento energetico, a partire dai costi, dalla collocazione geografica e dalla vetustà degli immobili. In ogni caso la votazione ha mostrato, plasticamente, che la riforma è passata, almeno in questa fase, al costo di una netta divisione tra gli schieramenti, con 343 voti a favore, 216 contro e 78 astenuti. I numeri raccontano che i favorevoli sono stati in numero preponderante, ma dicono anche che l'opposizione al provvedimento non è stata certo circoscritta a qualche gruppuscolo di irriducibili.
Case Green: passa la riforma, ma si spacca l'europarlamento
A favore hanno votato socialisti, verdi, Left, popolari (ma qui il gruppo si è diviso: 51 i sì; 58 i no, Manfred Weber, capogruppo, compreso), Renew Europe (anche qui non c'è stata compattezza).
Una divaricazione che si è confermata anche nella delegazione italiana, con i partiti della maggioranza (Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia) a votare contro e Pd, M5S e Verdi a favore.
Ma non è detto che l'agenda che la riforma si propone possa essere compiutamente rispettata, prevedendo che entro il 2030 gli edifici residenziali raggiungano almeno la classe di prestazione energetica E e la D entro il 2033. Più compressa temporalmente la progressione per gli edifici non residenziali e pubblici che dovranno raggiungere le classi E e D entro il 2027 e il 2030. Gli edifici di nuova costruzione già a partire dal 2028 dovrebbero essere a emissioni zero. Due anni in meno per l'adeguamento (quindi, entro il 2026) per gli edifici nuovi riconducibili al pubblico. Comunque, entro il 2028 gli edifici nuovi dovranno essere dotati di pannelli solari. Invece entro il 3032 i pannelli solari dovranno alimentare gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti.
Ora, come si può intuire, le cose che vengono richieste al privato cittadino (ma anche alle amministrazioni pubbliche che, fatte rare eccezioni, non è che abbiano le casse straripanti di denaro) sono intuibilmente gravose da un punto di vista economico. E lo saranno anche se lo Stato interverrà in termini di incentivi che, per loro natura, contribuiscono e non pagano interamente (ma non ditelo ai Cinque Stelle e al loro superbonus).
Il difficile arriva ora perché tutto si sposta sul fronte politico attuale, ma anche di prospettiva perché, anche se ufficialmente non si può proprio dirlo, è già cominciata la lunghissima campagna elettorale in vista delle elezioni del 2024, dopo le quali il panorama potrebbe essere nettamente diverso. Anzi, a dirla tutto, completamente opposto, con la concreta possibilità che i gruppi dell'area conservatrice-sovranista possano attaccare l'attuale assetto a trazione progressista.
E se l'asse politico si dovesse spostare a destra l'attuale visione dei problemi energetici e climatici potrebbe essere stravolta. Avvisaglie di un clima politico potenzialmente diverso a partire dal 2024 ce ne sono state anche di recente. Come nel caso dello stop alla vendita di auto alimentate a benzina o diesel entro il 2035, accantonato temporaneamente per la dichiarata opposizione di Germania e Italia, sia pure con posizioni non totalmente coincidenti. Ora la nuova regolamentazione energetica delle case dovrebbe concretizzarsi con una ''ondata di ristrutturazioni'', tenuto conto che gli edifici sono responsabili di circa il 40 % del consumo totale di energia dell’Ue e del 36 % delle emissioni di gas a effetto serra associate a questo consumo.
Secondo la direttiva, tocca agli Stati membri dettare i tempi della sua attuazione, con una serie di eccezioni che non risolvono certo i timori per quelli che saranno i costi a carico dei singoli proprietari. E' qui il punto critico della riforma, perché, seppure dettando regole generali e, in esse, anche delle eccezioni, il nuovo quadro normativo potrebbe essere fonte di una montagna di problemi.
L'opposizione dell'Italia è netta, perché, come ha detto il ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, essa è "insoddisfacente'', dando ulteriore forza al Paese a ''battersi a difesa dell’interesse nazionale".
Rispettando gli obiettivi ambientali, per Pichetto Fratin manca "una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugio’ delle famiglie italiane". A lui ha fatto eco il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, secondo il quale la direttiva colpisce il ''portafoglio di 8 milioni di famiglie italiane, una mazzata economica in un momento di grande difficoltà per tanti. Sì ad incentivi, ma no penalizzazioni e divieti".
Dalla riforma saranno esclusi gli edifici con un particolare pregio storico e architettonico, i luoghi di culto, le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all'anno e anche gli immobili autonomi con una superficie inferiore ai 50 metri quadri.
Ma tutto questo non muta lo scenario perché, dice Pichetto Fratin, per l'Italia "gli obiettivi temporali sono ad oggi non raggiungibili. Nessuno chiede trattamenti di favore, ma solo la presa di coscienza della realtà: con l’attuale testo si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della direttiva".