Casa: dov'è finito il senso dello Stato del Comune di Roma?

- di: Redazione
 
Siamo sicuri che Tobia Zevi, assessore di Roma al Patrimonio, sia una persona onesta, che ha a cuore il mandato che gli è stata conferito. Lo diciamo pur non conoscendolo, ma convinti che - pensando alla sua famiglia - la mela non cada mai lontano dall'albero. Quindi, onestà, ma anche spirito di servizio. Eppure, dopo avere saputo cosa sta accadendo a Roma, intorno all'annoso, e quindi irrisolto, problema della carenza di abitazioni, qualche dubbio ci ha colto.
Per essere sintetici, si è scoperto che, via chat, Zevi, nell'esercizio delle sue funzioni, dialogava con Luca Fagiano, definito come un attivista dei movimenti che, a Roma, si battono con tutti i mezzi (talvolta non leciti) per l'attribuzione di case ai soggetti cosiddetti fragili.

Casa: dov'è finito il senso dello Stato del Comune di Roma?

Non ci importa, con grande franchezza, cosa, in chat, dicessero Zevi e Fagiano, nelle conversazioni che li coinvolgevano direttamente. Quello che invece, a nostro avviso, è fondamentale comprendere é se, allacciando rapporti con un soggetto che ha partecipato attivamente anche a proteste sfociate in atti di violenza, l'assessore abbia rispettato il primo ''comandamento'' non da amministratore, ma di semplice cittadino. Cioè quello di mai accreditare qualcuno, come soggetto con cui interloquire, che non abbia alcuna remora ad andare contro le regole che sono alla base della convivenza e quindi della stessa comunità civile.
Ripetiamo: diamo per scontato che ad animare le azioni dell'assessore Zevi siano state delle buone intenzioni, quale potrebbe essere stata quella di abbassare la potenziale tensione tra il Campidoglio e le frange più ''movimentiste'' degli attivisti per la casa. Ma, ci permettiamo di dire, questo va oltre il buonsenso o, se più aggrada, il buon governo perché è tale quello che ascolta, si confronta, recepisce, ma che non accetta ricatti, diretti o camuffati dietro un giro di parole.

Le spiegazioni che Zevi ha dato delle sue scelte e quindi del suo operato, confessiamo, non convincono completamente e non soltanto per l'immagine dell'Amministrazione comunale che emerge. Perché, sempre che le indiscrezioni sulle conversazioni in chat siano tutte vere, è difficile potere pensare che la ''minaccia'' di incrinare il rapporto tra i movimenti per la casa e la giunta possa essere stata anche soltanto ascoltata senza una durissima presa di posizione. Ovvero interrompendo ogni confronto con chi, seppure a livello subliminale, minaccia o fa paventare. Poi abbiamo, sinceramente, difficoltà a metabolizzare il concetto, espresso da Zevi in una intervista pubblicata sul dorso romano del Corriere della Sera, che quella minaccia velata ''è una frase che non apprezzo e respingo, ma in uno strumento informale come la chat lascia il tempo che trova''.

Una affermazione potrebbe fare intendere che l'assessore Zevi non legga le notizie relative al peso che viene riservato a conversazioni via social che, avendo un interlocutore identificabile, sono state utilizzate par fare luce in episodi di rilevanza penale. C'è poi un altro passaggio dell'intervista che suscita perplessità, per l'evidente tentativo di Zevi di ridimensionare la portata delle interlocuzioni tra lui e Fagiano (che nel 2013 finì in regime di arresti domiciliari, per alcuni incidenti scatenati nelle vie di Roma da attivisti per la casa). Parlando della conversazione in una chat cui partecipavano, ha detto, 20 persone, Zevi ha aggiunto che ''se avessi voluto tenerla riservata mi sarei attrezzato meglio...'', con tanti saluti al concetto di trasparenza, che evidentemente può anche andare a corrente alternata.

Tutto comunque - e non stiamo parlando dell'assessore Zevi - rimanda all'uso spregiudicato che si fa del dolore degli altri, rendendolo lo strumento per accrescere il proprio profilo in termini di immagine. Se a Fagiano fosse stato detto immediatamente di esprimere le sue idee, nessun problema. Ma nel momento in cui lancia, nell'etere indistinto di una conversazione a più voci, qualcosa che può anche essere una minaccia, senza essere cordialmente, ma con fermezza, rimesso in riga, tutti gli altri partecipanti alla chat si faranno una idea ben precisa della debolezza contrattuale della giunta. Con centinaia di stabili occupati, la risposta del Comune di Roma deve andare su due direttrici precisi: adoperarsi per alleviare il disagio dei fragili, senza però farsi ricattare, e comunque garantire il rispetto della legge. Perché oggi a protestare sono quelli senza casa; domani potrebbero essere quelli che una casa ce l'hanno, ma che rischiano di perderla per difficoltà economiche e guarderanno con rabbia a chi, magari senza pagare un centesimo, un tetto sopra la testa lo ha.
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