Jorge Mario Bergoglio non è stato soltanto il vescovo di Roma, il pontefice del Vaticano, il successore di Pietro. È stato – come forse nessun altro negli ultimi decenni – un interprete del mondo, uno sguardo sulla realtà, una voce che ha saputo disturbare, confortare, dividere, ispirare. La sua morte lascia un vuoto – inevitabile – e una scia. Una scia fatta non solo di discorsi, encicliche, riforme, viaggi. Ma anche di segni.
Ogni cardinale una chiesa a Roma. Dopo la morte di Papa Francesco, resta il suo cuore nelle periferie
Uno di questi segni, apparentemente secondario, è la mappa delle chiese di Roma assegnate ai cardinali. Ogni porporato, al momento della nomina, riceve una chiesa titolare nella città eterna. È un gesto simbolico, che lega ogni cardinale alla diocesi del Papa. Ma in questo piccolo rito, Francesco ha inserito una rivoluzione silenziosa. Ha smesso di distribuire porpore in centro, tra le basiliche storiche e i salotti del potere ecclesiastico. Ha preferito, invece, le periferie: Centocelle, Torre Angela, Vitinia, Primavalle.
Una tradizione antica quanto il Papato stesso
La prassi di assegnare a ogni cardinale una chiesa titolare a Roma nasce nei primi secoli del cristianesimo, quando i cardinali erano i presbiteri e i diaconi delle parrocchie dell’Urbe. La loro funzione era profondamente legata alla vita concreta della comunità cristiana, e da questi “titoli” derivava il diritto – e il dovere – di partecipare all’elezione del nuovo vescovo di Roma. Col tempo, la nomina cardinalizia ha assunto una dimensione più universale, ma il legame con una chiesa romana è rimasto come segno visibile della comunione con la sede petrina. Ogni cardinale, ovunque sia nato o operi nel mondo, è anche un sacerdote di Roma.
Un lascito fatto di geografia e visione
Può sembrare un dettaglio, una nota liturgica relegata alle pieghe del cerimoniale. Eppure racconta molto. Racconta di un Papa che ha voluto smontare le gerarchie aristocratiche della Chiesa per riscoprirne il volto popolare. Di un uomo venuto dalla fine del mondo che ha indicato il confine come centro, il margine come cuore. Le chiese che ha assegnato ai cardinali sono una mappa del mondo che ha cercato di costruire: meno curiale, più umile; meno trionfale, più pastorale.
Così, nella Roma che lo ha accolto e spesso anche criticato, Francesco ha lasciato un messaggio inciso nei muri. Non nelle stanze affrescate del potere, ma nelle parrocchie dei quartieri operai. Là dove si prega accanto ai carrelli della spesa, dove i parroci conoscono per nome ogni anziano solo, dove l’odore dell’incenso si mescola a quello del mercato.
Il Conclave tra le ombre del lutto e l’eco del Vangelo
Ora che Francesco non c’è più, sarà proprio questa Roma, quella delle sue scelte silenziose, a parlare al prossimo Conclave. Perché i cardinali entreranno in Cappella Sistina non solo con le Scritture sotto braccio, ma anche con il peso e la grazia delle chiese che Francesco ha affidato loro. Pietro Parolin, con la sua chiesa a Torre Angela; Matteo Zuppi, con Santa Maria in Trastevere; Luis Tagle, con San Felice a Centocelle; Fridolin Ambongo, con San Salvatore in Lauro.
Non saranno voti astratti. Saranno il riflesso di un’esperienza concreta. Francesco ha costretto la porpora a misurarsi con la povertà, con le periferie, con l’umanità disordinata e sofferente delle grandi metropoli. E lo ha fatto con una scelta apparentemente amministrativa: assegnare chiese in zone dove la Chiesa non era mai stata così visibile.
Il Vangelo oltre il colonnato
Roma è ancora lì, immobile e infinita. Ma oggi, mentre le campane della città suonano lente per salutare il Papa che non c’è più, le sue periferie si scoprono depositarie di un’eredità. Una Chiesa che ha provato a uscire, a sporcarsi le mani, a camminare nelle strade. Una Chiesa che Francesco ha provato a rendere più fragile, più umana, meno potente.
Resteranno le encicliche, certo. Ma resterà anche la scelta di mettere i cardinali in mezzo al traffico, tra i palazzoni, accanto ai senzatetto, ai bambini rom, alle panetterie e ai tram sferraglianti. Resterà quel modo tutto suo di dire che il Vangelo non sta sotto i marmi, ma sopra l’asfalto.
E forse, quando i cardinali si chiuderanno a eleggere il suo successore, il rumore di quelle periferie continuerà a bussare alle porte della Sistina.