Un uomo si impicca nella sua cella. Detenuti stipati come bestie, agenti allo stremo, Stato assente. Ma per il ministro il problema è “relativo”. Serve indignazione vera.
Proprio così: 41 persone private della libertà hanno scelto la morte dall’inizio dell’anno nelle prigioni italiane, senza contare altri tre operatori penitenziari, per un totale di 44 drammi che gridano vendetta. L’ultimo episodio si è consumato nella mattina del 19 luglio, quando un uomo di 54 anni, di Roma e fino a poco tempo addetto alla cucina del carcere, è stato trovato impiccato nella sua cella singola del reparto G 12 a Rebibbia – edificio avvelenato dalla sovrappopolazione e dal degrado sistemico.
Un allarme senza sosta
Il dossier «Morire di carcere» dell’associazione Ristretti Orizzonti conferma il bilancio: 41 suicidi dal 1° gennaio 2025, in forte crescita rispetto ai 25 registrati nei primi mesi dello stesso anno. Numeri terribili: nel 2024 si erano già verificati 91 suicidi tra detenuti – record storico – e almeno sette tra agenti.
Parole d'accusa dalla Uilpa
Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, denuncia: “un sistema che infligge la pena di morte di fatto”. Aggiunge: “A Rebibbia sono stipati 1.565 detenuti a fronte di una capienza di 1.068, un sovraffollamento oltre il 143 %”.
Assurdo sovraffollamento e narrazione pubblica
Il ministro Nordio – contraddittorio fino al paradosso – ha sostenuto che il sovraffollamento “fa bene”, perché agisce da controllo sui suicidi. Davvero scandaloso: sostenere che la sofferenza di massa sia utile alla sicurezza.
Un Paese in crisi di civiltà
Nel 2024, i 91 suicidi in carcere rappresentavano un tasso di 14,8 ogni 10.000 detenuti – potente segnale di una realtà carceraria peggiore di quella europea. La sproporzione è spaventosa: il suicidio in carcere si verifica 25 volte più spesso che tra i cittadini liberi.
Le richieste urgenti
De Fazio punta il dito sul personale carente: 650 agenti in servizio su 1.137 posti necessari – “turni fino a 26 ore”, masse di lavoro inaccettabili. Esige “misure immediate per deflazionare la densità detentiva e potenziare gli organici”. Non più “palliativi balneari”, frase velenosa che sembra ignorare l’urgenza di cambiare orientamento, non numero carceri.
Proposte e responsabilità
Anche associazioni e accademici (AIPDP/ASPP) e il Garante hanno lanciato l’allarme già a metà 2024: una congiunta del giugno 2024 denunciava 45 suicidi già avvenuti. Antigone, il Garante nazionale e il Garante del Lazio esigono misure strutturali: maggiori telefonate, iniziative di sostegno psicologico, misure alternative come domiciliari per condanne residue, riduzione delle custodie cautelari.
Non un fenomeno, ma una vergogna dello Stato
Né il sovraffollamento, né le dichiarazioni muscolari bastano a coprire la vergogna nazionale. Ogni suicidio è un fallimento dello Stato e un’offesa alla Costituzione. La società – e Roma – hanno il dovere morale di pretendere agire, non parole.
Serve subito: piani strutturali, investimenti sul personale, amnistia per reati minori, regime ostativo, supporto psicologico intensivo e reale controllo europeo. Perché il dolore in carcere non può essere normale, né accettabile.