Carburanti: ma chi oggi governa non era per l'eliminazione delle accise?
- di: Redazione
Fare delle promesse è cosa facilissima, soprattutto quando si tratta di dovere conquistare l'attenzione di qualcuno. Quante ne abbiamo sentite e quante ancora ne sentiremo perché è proprio nella natura dell'uomo e della donna mettere all'indice qualcosa e anticipare che, quando lo si potrà, si cambierà tutto.
Non è detto che tutte le promesse siano destinate a deludere perché non messe in atto (soprattutto se entrano nel novero delle smargiassate), ma altre rimangono bene in mente perché ad onorarle proprio non ci si pensa nemmeno.
Carburanti: ma chi oggi governa non era per l'eliminazione delle accise?
Prendiamo il costo dei carburanti. Per anni il centrodestra ha tuonato contro il costo della benzina perché esso è determinato non tanto del costo reale del petrolio, ma dalle accise, denominazione mitologica contro cui tutti tuonano, a seconda su quali banchi siedono - governo od opposizione -, ma che in pochi sanno veramente cosa siano.
Si tratta di imposte indirette, che si applicano a beni, come appunto i derivati dal petrolio, e che alla fine determinano il prezzo che chi ne fruisce è costretto a pagare. Ma è, detto senza tanti giri di parole, un modo con il quale lo Stato fa cassa, soprattutto quando si tratta di dovere fronteggiare impegni gravosi e soprattutto emergenziali che altrimenti non sarebbero affrontabili. Il guaio è, però, che una volta istituite le accise entrano nel campo dell'ineluttabile perché, se anche quando l'emergenza dovesse essere stata risolta, lo Stato si guarda bene dal cancellarne.
Così che restano lì, a sommarsi, per fare sì che alla fine il popolo meschino paghi senza nemmeno rendersi conto del perché. Non ci credete? basta dare una lettura veloce alle date ed agli avvenimenti che hanno ''meritato'' accise che, ancora oggi, paghiamo:
- guerra in Etiopia del 1935-1936
- crisi di Suez del 1956
- la ricostruzione del dopo Vajont del 1963
- per l’alluvione di Firenze del 1966
- per il terremoto del Belice del 1969
- per il terremoto del Friuli del 1976
- per il terremoto dell’Irpinia del 1980
- il finanziamento della guerra in Libano del 1983
- finanziamento della missione in Bosnia del 1996
- il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004
- l’acquisto di autobus ecologici del 2005.
Un elenco a dir poco stupefacente perché contiene il bello e il brutto dello Stato, perché se aveva un senso chiamare la nazione a contribuire ad uno sforzo collettivo davanti a drammi ed emergenze epocali, come la calamità naturali, resta difficile da capire - non soffermandosi sull'etica del finanziamento di guerre e missioni militari - come il rinnovo di un contratto nazionale di categoria debba gravare sulla collettività, quindi incidendo sulle finanze di chi, magari, in vita sua avrà preso sì e no il bus un paio di volte. Della serie: io, Stato, firmo un contratto oneroso, tanto lo faccia pagare a tutti.
E', lo ripetiamo, un modo surrettizio di aiutare economicamente lo Stato dove lui stesso non arriva. Ma è materia che non è esclusivamente maneggiata da un partito o uno schieramento perché nessuno di quelli che si sono alternati in cabina di comando hanno affrontato il problema con la chiara volontà di risolverlo.
Gli ultimi sono stati quelli che oggi ''comandano'', Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che, in un passato nemmeno lontanissimo, hanno tuonato contro le accise e lo scandalo che esse si portano dietro, scherzandoci anche su, perché l'argomento vi si presta.
E quindi, una volta essere diventati determinanti, cosa hanno fatto, cosa hanno annunciato di volere fare?
Al momento, sulle vituperate accise, non si sentono urla, non si annunciano stravolgimenti. Anzi, non si sente proprio nulla. È, come diceva una canzone di molti anni fa, cantata anche da Mina, ''la voce del silenzio'' quella che si avverte, anche se non c'è. Giorgia Meloni, che sull'argomento ci ha fatto anche un video abbastanza garbato, nulla dice, nulla profferisce. E non lo fa nemmeno Matteo Salvini, che pure in recenti governi ha contato parecchio e che, dopo avere sparato a palle incatenate contro la gabella delle accise, ora tace convinto forse che è meglio non aprire bocca, prima che la gente ricordi le promesse e le minacce.
Forse ha fatto sua la frase di Seneca: ''La cosa più grande è sapere quando parlare e quando stare zitti'', ma non ci crediamo tanto.