Nel cuore dell’estate più calda degli ultimi decenni, con temperature sempre più spesso oltre i 40 gradi e allarmi sanitari in aumento, la Regione Lazio rompe gli indugi e interviene con una misura senza precedenti a tutela dei lavoratori esposti al sole. Fino al 31 agosto, nelle giornate in cui il rischio da stress termico è classificato come “Alto” dalla piattaforma Worklimate, sarà vietato lavorare all’aperto tra le 12:30 e le 16:00.
Caldo estremo, il Lazio vieta il lavoro all’aperto nelle ore più critiche: “È un atto di responsabilità”
Il provvedimento, già operativo, riguarda i settori agricolo, edilizio, florovivaistico e quello delle cave: comparti nei quali la fatica fisica, combinata all’esposizione diretta al sole, può trasformarsi in un rischio letale.
“Abbiamo il dovere di tutelare la salute di chi lavora, soprattutto nei settori più esposti agli effetti del caldo estremo – ha dichiarato il presidente della Regione Francesco Rocca – Con questa ordinanza vogliamo prevenire situazioni di rischio concreto per i lavoratori che operano all’aperto, nelle ore più critiche della giornata. Non è solo una misura di buon senso, è un atto di responsabilità”.
Una risposta all’emergenza climatica
Il Lazio si pone così all’avanguardia a livello nazionale, mentre il tema della protezione dei lavoratori dalle ondate di calore continua a essere sottovalutato nella gran parte del Paese. Eppure, secondo i dati dell’INAIL, negli ultimi cinque anni sono aumentati gli infortuni sul lavoro legati al caldo, in particolare nei mesi di luglio e agosto.
Nel solo 2022, l’Italia ha registrato oltre 18.000 decessi correlabili alle alte temperature. E non sono numeri astratti: dietro le cifre, ci sono i braccianti che raccolgono frutta sotto il sole cocente, gli operai edili sulle impalcature roventi, i lavoratori delle serre e dei cantieri che operano anche quando l’asfalto diventa incandescente.
Un precedente che può fare scuola
L’ordinanza firmata da Rocca è la prima, quest’anno, a istituire un divieto esplicito e vincolante per fasce orarie, ancorato a un sistema scientifico di rilevazione del rischio termico. La piattaforma Worklimate – realizzata dal CNR e dall’INAIL – consente di monitorare in tempo reale il rischio da calore legato alle attività fisiche svolte all’aperto, distinguendo per aree e intensità.
Il meccanismo è semplice: quando il rischio risulta “Alto” per le attività fisiche intense, come quelle richieste in agricoltura e nei cantieri, scatta automaticamente il divieto orario. Una misura che obbliga le imprese a riorganizzare i turni, a sospendere le attività o a spostarle nelle ore meno critiche.
Il nodo della normativa nazionale
Ma il Lazio da solo non basta. Se il fenomeno è strutturale, servono risposte sistemiche. Lo sa bene anche il presidente Rocca, che ha auspicato un intervento legislativo nazionale, capace di rendere queste tutele uniformi e permanenti.
Del resto, una proposta di legge in tal senso – ispirata proprio ai principi del Worklimate – è ferma in Parlamento da mesi. E mentre la crisi climatica avanza, il rischio è che la tutela dei lavoratori diventi una questione regionale, con forti diseguaglianze territoriali.
In un’Italia che si scopre fragile davanti all’emergenza caldo, l’ordinanza del Lazio può diventare un modello replicabile. Ma per farlo servono coraggio politico, investimenti nella prevenzione e un riconoscimento pieno del diritto alla salute nei luoghi di lavoro, anche quando il pericolo non è visibile, ma lo si respira.