Per le Caivano d'Italia non bastano solo i blitz

- di: Redazione
 
Lo Stato oggi ha dato l'assalto al fortino della criminalità a Caivano, sequestrando soldi (nemmeno tanti), munizioni (anche per mitragliatrici) e droga (una quantità che si può scoprire in qualsiasi controllo a casa di uno spacciatore conosciuto). Sono stati impiegati centinaia di uomini, con ogni supporto logistico possibile, per concretizzare il messaggio che Giorgia Meloni ha voluto dare a tutti: non esistono zone franche.
Cosa di buon senso, che dovrebbe dare garanzie ai cittadini che, da troppo tempo ormai, vivono il disagio di sentirsi privati del bene primario della nostra epoca, la sicurezza. Quella di oggi è stata la risposta muscolare dello Stato e i benefici di una azione militare sono immediati, poiché tolgono dalla circolazione quello che fa marciare la macchina criminale, il denaro e, soprattutto, l'idea che ci siano delle enclave in cui tutto è consentito, se solo sei inquadrato in una organizzazione malavitosa.

Per le Caivano d'Italia non bastano solo i blitz

Ma l'operazione di oggi, al di là dei toni quasi trionfalistici con cui ne sono stati sottolineati i risultati, se è una dimostrazione della capacità di reazione dello Stato, si potrebbe dire che non è stata molto azzeccata nei tempi. Non tanto perché la si doveva fare prima, ma per il semplice motivo che tutti ormai se l'aspettavano nel momento in cui il presidente del Consiglio ha mostrato la sua rabbia per vedere porzioni del Paese che sfuggono al controllo. Reprimere dopo avere in qualche modo annunciato che ci sarebbe stata una dimostrazione di forza da parte dello Stato ha probabilmente vanificato lo sforzo.
Il perché basta chiederlo all'ultimo piantone di una questura, al carabiniere di una sperduta stazione dell'Arma, al finanziere che partecipa ad un controllo sulla banchina del porto.
Tutti vi risponderanno che i risultati si ottengono grazie al combinato composto di più elementi: un presidio costante del territorio; tecniche investigative sull'esempio di quanto fatto contro il terrorismo; last but not least, certezza delle pena e restringimento della discrezionalità del magistrato davanti a chi reitera il reato.

Non sono ricette partorite da un fautore della mano pesante dello Stato, ben oltre i confini del diritto, ma la risposta a quella richiesta di omogeneità nell'azione delle istituzioni che, sebbene meritevoli di plauso quando agiscono reagendo, spesso non sono in grado di muoversi con la necessaria determinazione.
Alla gente, quella che esce di casa e non sa se, al ritorno, sarà stata testimone o anche bersaglio di un qualsiasi episodio di illegalità, poco interessano le grandi strategie e i proclami.
Alla gente basta solo vedere che le strade lungo le quali cammina, le piazze che attraversa, i giardini dove porta figli e nipotini non siano ridotte a territorio sacro per bande di spacciatori e rapinatori, che poi sono sempre gli stessi perché, senza cadere in un luogo comune abusato, non è che da arrestati trascorrano molto tempo in carcere. E, comunque, breve o lunga che sia stata la permanenza in galera, quando tornano fuori, sono nuovamente pronti a riprendere la vita di sempre. E poco importa che nel loro certificato dei carichi pendenti le voci si ripetano per moltissime volte, con il solo spettro dell'arresto quando qualche condanna andrà in giudicato.

Ma la giustizia ha i suoi tempi che non sono certo quelli di ciò che pensa la gente comune.
L'Italia, su questo fronte, ha bisogno di risposte, ha la disperata necessità di sentire che lo Stato le è sempre accanto. Cosa che forse - basta sfogliare le pagine di un quotidiano - non sempre accade, semmai accade.
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