È stato presentato oggi a Ravenna, nella suggestiva cornice di Palazzo Rasponi ospiti del Comune di Ravenna, il Rapporto “La Bioeconomia in Europa”, redatto dal Research Department di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e Assobiotec - Federchimica. A questa edizione del rapporto ha contribuito anche Cosmetica Italia (Federchimica). Il Rapporto è arrivato alla decima edizione, confermandosi un punto di riferimento per gli operatori e i policy maker, fornendo una quantificazione del complesso insieme di settori che utilizzano materie prime di origine biologica rinnovabile e spunti di riflessione sugli sviluppi di uno dei pilastri dell’inevitabile percorso di transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili.
Bioeconomia, Intesa Sanpaolo: "In Italia generato valore della produzione di 437,5 miliardi"
Dopo l’apertura, a cura di Mario Bonaccorso, Direttore del Cluster SPRING e i saluti istituzionali del Sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, di Annagiulia Randi, Assessora allo sviluppo economico, attività produttive, porto, politiche Ue e cooperazione internazionale del Comune di Ravenna, e di Alessandra Florio, Direttore Regionale Intesa Sanpaolo Emilia-Romagna e Marche, sono seguiti gli interventi di Laura Campanini, Serena Fumagalli e Stefania Trenti, del Research Department di Intesa Sanpaolo, dedicati alla presentazione dei principali contenuti del Rapporto. È seguita una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di rappresentanti degli stakeholder della Bioeconomia: imprese (Angelo Benedetti - Presidente e DG di Unitec, Luca Lovatti - Direttore R&D di Melinda,), associazioni di categoria (Andrea Di Piazza Utilitalia; Elena Sgaravatti – AD Plantarei Biotech e Vicepresidente di Federchimica Assobiotec), sistema creditizio (Massimiliano Cattozzi – Responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo) e policy maker (Morena Diazzi – DG Economia e Conoscenza, lavoro e impresa Regione Emilia – Romagna).
“Il Rapporto sulla Bioeconomia – ha commentato Stefania Trenti, Head of Industry and Local Economies Research di Intesa Sanpaolo - è giunto quest’anno alla decima edizione, a dimostrazione del forte interesse nei confronti dell’ampio e diversificato insieme di attività che utilizzano risorse biologiche rinnovabili. Secondo la FAO sono 21 i paesi, che rappresentano il 65% della PIL mondiale, dotati di una strategia ad hoc per lo sviluppo sostenibile delle filiere bio-based, l’Italia è fra questi. Le politiche pubbliche sono fondamentali per sostenere e valorizzare gli investimenti delle imprese, sempre più orientati alla transizione verso modelli di produzione e consumo più attenti all’ambiente. Le analisi del Rapporto confermano la grande vitalità e l’attenzione alla ricerca di soluzioni innovative del tessuto produttivo italiano che opera nei settori della Bioeconomia. Si tratta di un patrimonio straordinario, diffuso in tutti i territori a cui contribuiscono grandi operatori, piccole e medie imprese e un numero rilevante di start-up innovative, attive in particolare nella Ricerca e Sviluppo, a testimonianza dell’importanza della tecnologia per affrontare le sfide del futuro”.
Un Rapporto che, evidenzia Catia Bastioli, Presidente Cluster SPRING, “conferma il valore strategico della Bioeconomia come meta-settore di innovazione con un ruolo chiave nell’accelerare la transizione ecologica verso una maggiore resilienza degli ecosistemi. Lo conferma la stessa Europa con le conclusioni del Consiglio nel marzo 2023, e con le parole di Margrethe Vestager, Vicepresidente della Commissione EU, che nella comunicazione ‘Building the future with nature: boosting biotech and bio-manufacturing in Europe’ afferma che la bioeconomia sarà un settore fondamentale per la competitività e la modernizzazione dell'industria europea. È indispensabile costruire su questo patrimonio, garantendo un quadro normativo certo e una solida strategia industriale in connessione con la qualità e diversità dei territori. Solo così il settore del biomanufacturing e delle infrastrutture della bioeconomia potrà evolvere oltre la fase della sperimentazione dando un contributo concreto al futuro sostenibile dell'Europa. Questo è un momento cruciale per cogliere tutte le nuove opportunità.”
Elena Sgaravatti, Vicepresidente Assobiotec Federchimica, ha sottolineato che “Viviamo in un mondo costruito sulla biologia e una volta che iniziamo a capirla, questa diventa tecnologia. Le biosoluzioni, che utilizzano enzimi, microorganismi, batteri sono ispirate alla natura e sono elementi chiave per una economia circolare bio-based sicura, fatta di posti di lavoro altamente qualificati ed una più resilente ed efficiente catena del valore coprendo settori che vanno dall’edilizia, al tessile, alla produzione di cibo ed energia. McKinsey&Co stima che il 60% delle materie prime mondiali possono essere ottenute attraverso le biosoluzioni ed è quindi chiaro come per la Bioeconomia circolare esse possano rappresentare una straordinaria leva di innovazione. E di questo c’è sempre maggiore consapevolezza. Oggi, come Associazione industriale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie, guardiamo con fiducia al rinnovato interesse per il comparto biotech da parte della politica nazionale e comunitaria. E’ dello scorso marzo il Manifesto della Commissione Europea che individua nelle biotecnologie e nelle biosoluzioni una delle aree più promettenti di questo secolo, parte della soluzione per affrontare la transizione green e molte delle attuali e future sfide sociali. Certamente una prospettiva incoraggiante sulla quale è oggi necessario innestare azioni concrete. E una nuova regolamentazione delle biosoluzioni per un più rapido accesso ad esse, in Europa può rappresentare un primo importante passo in questa direzione”.
Mentre Michele De Pascale, Sindaco di Ravenna, e Annagiulia Randi, Assessora allo sviluppo economico, attività produttive, porto, politiche Ue e cooperazione internazionale del Comune di Ravenna hanno evidenziato che “Ravenna ha tutte le caratteristiche e le competenze per giocare un ruolo da protagonista in Europa nell'ambito della bioeconomia. Molte imprese del suo distretto industriale sono già attive nell’ambito dell’economia circolare tra energia, chimica e rifiuti; fanno ricerca e investono in innovazione tecnologica per una progettazione sempre più avanzata. Il polo universitario, con la facoltà di Scienze ambientali e il Centro ricerche di Marina di Ravenna, offre grandi potenzialità di sviluppo. Inoltre, ha un porto, come sbocco naturale della Pianura Padana, proiettato verso un rinnovamento ecosostenibile delle sue infrastrutture. Occorrono sempre più uno sguardo che sappia anticipare e una visione manageriale di grande respiro che a Ravenna ha avuto un precursore come Raul Gardini, che per primo parlò di chimica verde. Possiamo dire che diede origine alla bioeconomia la quale oggi può fornire un grande supporto alla decarbonizzazione. Così come la blue economy, da considerarsi essa stessa bioeconomia, è sempre più impegnata nella gestione sostenibile delle risorse naturali, degli ecosistemi e della biodiversità”.
Il Rapporto evidenzia che nel 2023 l’insieme delle attività connesse alla Bioeconomia in Italia ha generato un output stimato pari a 437,5 miliardi di euro, 9,3 miliardi in più rispetto al 2022 e occupando circa due milioni di persone. Dopo l’accelerazione registrata nel 2022, quando il valore della produzione della Bioeconomia si è attestato su livelli pari a 428,3 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto al 2021 (+65,5 miliardi di euro), anche per effetto del significativo aumento dei prezzi alla produzione, nel 2023 è proseguita la crescita del settore, ma a un ritmo meno intenso e pari al 2,2%. Più stabile invece l’occupazione, su livelli di circa 2 milioni di occupati in tutto il periodo considerato (2021-23). Nel 2023 la Bioeconomia italiana pesa il 10% in termini di valore della produzione e il 7,6% per quanto riguarda l’occupazione sul totale dell’economia del nostro Paese. Considerando Francia, Germania, Italia e Spagna nel complesso, la Bioeconomia ha generato nel 2023 un output di circa 1.751 miliardi di euro, occupando oltre 7,4 milioni di persone, che rappresentano l’8,4% e 6% rispettivamente sui valori complessivi dei 4 paesi europei. Le stime relative al 2023 confermano quanto già emerso nelle precedenti edizioni del Rapporto. In termini assoluti spicca il valore della Bioeconomia tedesca, al primo posto per valore della produzione (542,9 miliardi di euro) e per numero di occupati (circa 2,1 milioni di persone). In termini di output la Francia si posiziona al secondo posto (459,1 miliardi di euro), seguita da Italia (437,5 miliardi) e Spagna (311,9 miliardi). L’Italia si posiziona al terzo posto per valore della produzione e al secondo posto per occupazione, con circa 2 milioni addetti, seguita da Francia (1,8 milioni) e Spagna (1,5 milioni). In termini relativi spiccano invece soprattutto in Spagna e Italia.
Il 2023 è stato un anno positivo anche per la Bioeconomia in Francia (+5,1%) e Spagna (+4,2%), registrando un ulteriore aumento dopo la crescita già osservata nel 2022. Ha, invece, registrato un calo la Bioeconomia tedesca (-6,9%), condizionata da segnali negativi nella maggior parte dei comparti. Confrontando i livelli dell’output della Bioeconomia nel 2023 rispetto al 2021 si osservano risultati positivi per tutti i paesi, con indicazioni migliori per l’Italia, che registra un incremento del 20,6% lievemente superiore a quello francese (20,1%); seguono Spagna (17,4%) e Germania (12,6%). La vitalità della Bioeconomia in Italia è testimoniata dalle 808 start-up innovative censite nel 2023, pari al 6,6% del totale delle imprese iscritte all’apposito Registro. La maggior parte delle start-up innovative della Bioeconomia, diffuse lungo tutta la penisola, è concentrata nel settore della R&S (45%), seguita dall’agri-food (25%).
Un’analisi più di dettaglio, sia attraverso l’osservazione di parole chiave che descrivono le attività delle start-up, sia tramite l’approfondimento di alcuni casi aziendali, evidenzia l’importanza dello sviluppo di nuovi materiali per la produzione di cosmetici, così come la ricerca di input produttivi diversi per la produzione di bioplastica. Anche nella filiera agro-alimentare emerge l’attenzione all’utilizzo di fonti di materie prime alternative o all’introduzione di nuovi processi produttivi tecnologicamente avanzati, volti a migliorarne la sostenibilità ambientale. Diverse anche le start-up attive nel sistema moda, dove operano player che utilizzano materiali di scarto provenienti da altre lavorazioni o industrie, o nella bioedilizia, dove cresce l’attenzione al miglioramento delle condizioni di salubrità e comfort nelle abitazioni attraverso l’utilizzo di materiali naturali e ambientalmente sostenibili. Si osservano anche alcuni casi di imprese attive nella gestione dei reflui di scarto civili ed industriali e nei processi di depurazione dell’acqua che confermano come l’attività innovativa riguardi tutto il ciclo di produzione. La tecnologia rappresenta un fattore fondamentale nella filiera agro-alimentare che riveste un ruolo chiave nel complesso della Bioeconomia - pesando oltre il 76% in Spagna e Francia, il 63% circa in Italia ed il 61% in Germania – ed è sempre più protagonista del percorso di transizione verso una maggiore sostenibilità dei processi. Le imprese italiane dell’alimentare, nettamente più piccole rispetto ai concorrenti europei, spiccano per la quota elevata di innovazioni di prodotto (20% contro una media UE27 del 12%) e di processo, dove l’Italia (36%) stacca i principali competitors di oltre 15 punti percentuali.
L’attenzione ai processi produttivi emerge anche dall’analisi dell’attività brevettuale dedicata alla filiera agro alimentare, dove l’Italia figura come settimo brevettatore a livello mondiale, con una quota e un grado di specializzazione in netto rafforzamento negli ultimi anni. L’analisi di dettaglio del portafoglio brevetti nelle tecnologie dedicate alla filiera alimentare evidenzia, oltre alle imprese attive nell’agro-alimentare, un ruolo determinante delle imprese della meccanica, che rappresentano la principale origine delle domande di brevetto afferenti al tema alimentare (45% delle domande di brevetto e 32% degli assegnatari). L’Italia è, infatti, il terzo esportatore al mondo nel complesso delle tecnologie per l’agrifood e ristorazione con una quota del 12% e primati assoluti in numerosi prodotti. Siamo i primi esportatori al mondo di distributori automatici con oltre il 30% dell’export mondiale, così come di macchine per la lavorazione della frutta (23%) e macchine per la pasta e prodotti da forno (20%). Siamo secondi nelle macchine per il packaging (con una quota del 23%), nelle macchine per l’industria alimentare (16%) e per l’industria dolciaria (12%).
L’attività brevettuale delle imprese dell’alimentare e bevande, un campione di 386 soggetti che hanno presentato domande di brevetto all’EPO, illustra l’ampiezza delle tematiche e la varietà dei percorsi innovativi in atto nel settore. Si conferma, infatti, l’importanza dei processi, spesso a supporto dell’introduzione di nuovi prodotti, o addirittura dell’entrata in nuovi business, come quello delle macchine espresso per le imprese della filiera del caffè. Elevato è anche l’interesse per l’area di confine tra l’alimentazione e la salute. La farmaceutica è, infatti, al secondo posto tra i settori/aree tecnologiche in cui risultano brevettare le imprese italiane dell’agro-alimentare, subito dopo il settore alimentare vero e proprio. Le imprese appaiono, inoltre, particolarmente attente al tema del packaging, per garantire una migliore conservabilità, trasportabilità e sostenibilità. Le imprese italiane dell’alimentare spiccano anche, nel confronto con le imprese tedesche, francesi e spagnole, per l’attenzione rivolta alle innovazioni per la sostenibilità: riduzione dei consumi di materiali e idrici (20% delle rispondenti), recupero di scarti e di acqua (circa il 21%), sostituzione di materiali inquinanti o pericolosi (25%) e riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo o acustico (20,8%).
La filiera agro-alimentare è fortemente esposta al cambiamento climatico e allo stress idrico. In Italia, a differenza di altri paesi europei, il settore agricolo è un grande utilizzatore di acqua (assorbe il 60% dei consumi di acqua complessivi) e registra un’elevata propensione all’irrigazione: il 20,2% della superficie agricola utile (SAU) risulta irrigata e circa il 64% delle 484.000 le aziende agricole con superficie irrigabile ha effettivamente irrigato i campi nel 2020. Il comparto è, quindi, uno dei primi settori a essere colpiti dalla carenza d’acqua. L’efficientamento dei consumi ed il riutilizzo di risorsa sono centrali per la sostenibilità. L’adozione di tecnologie innovative potrà giocare un ruolo fondamentale: in alcune realtà territoriali e in alcune aziende progressi verso l’efficientamento idrico sono stati fatti; si tratta ora di garantire la progressiva conversione dei sistemi di irrigazione verso metodi a minor consumo idrico e a maggiore efficienza su ampia scala.
Nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco si concentra il 10% dei consumi idrici del settore manifatturiero e sono necessari 3,3 litri di acqua per euro di produzione; l’acqua viene utilizzata sia come input primario nel processo produttivo sia per il raffreddamento dei macchinari o il lavaggio di input produttivi e di impianti. Il 43% delle imprese alimentari ha adottato azioni volte a contenere i prelievi e i consumi di acqua; all’interno dei distretti agroalimentari risulta esserci maggior sensibilità verso il riciclo e riutilizzo dell’acqua rispetto alle aree non distrettuali. Tra i settori della Bioeconomia più dinamici negli ultimi anni spicca la cosmetica in cui l’Italia ha acquisito una crescente specializzazione, affermandosi come terzo esportatore europeo dopo Francia e Germania. In ambito italiano rivestono un peso sempre più rilevante i cosmetici a connotazione naturale/biologica: a fine 2023 questi prodotti in Italia rappresentano il 10,4% del mercato cosmetico, pari a oltre 1,3 miliardi di euro con una crescita del 7,1% rispetto all’anno precedente. Questi progressi sono stati possibili grazie anche alla struttura del settore che può contare su relazioni di filiera strategiche di prossimità, sia per gli input produttivi (soprattutto chimica, agro-alimentare), sia per gli imballaggi (in primis carta, plastica, vetro, ceramica). Anche in prospettiva la presenza di filiere locali e stabili potrà rappresentare un vantaggio per le imprese del settore che vorranno proseguire con decisione il loro percorso verso una produzione più bio-based e processi produttivi più sostenibili. Pertanto, il futuro bio-based del settore dipende fortemente dalla capacità di coinvolgere virtuosamente le imprese a monte della filiera nella transizione green in corso.