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L’Intervento/ Il berretto a sonagli di Trump

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
L’Intervento/ Il berretto a sonagli di Trump

Trump tra narcisismo, pantomime e un’America senza anticorpi.

Il Berretto a sonagli è una commedia di Luigi Pirandello. Il titolo si riferisce al berretto portato dal buffone, simbolo dello scorno pubblico a cui viene sottoposto il protagonista Ciampa e, al tempo stesso, cruda metafora dell’impossibilità di mostrare il proprio vero io alla collettività. Nel caso di Trump “il vero io” è quello che è: un buffone autoreferenziale. Sì, perché solo un clown può presentarsi al suo popolo, dallo Studio Ovale, con un berretto sormontato dalla scritta “TRUMP WAS RIGHT ABOUT EVERYTHING”, Trump aveva ragione su tutto.
È davvero incredibile quello che sta succedendo in America. I giornali, le reti televisive, non fanno altro che trasmettere in loop tutto quello che al clown passa per la testa, senza nessun filtro, senza nessuna avvertenza sul declivio che la democrazia ha imboccato. Ormai il mito della stampa americana come “contropotere” col quale siamo cresciuti – il Washington Post dello scandalo Watergate, il New York Times, la Cnn – è svanito: sono tutti più o meno attaccati ai berretti di Trump.
I padroni dei media fanno la fila per baciare la pantofola a un ottantenne con evidenti problemi neurologici, così come i cosiddetti leader del mondo libero occidentale. Tutti insieme appassionatamente a solleticare l’ego ipertrofico di un ciarlatano, invece di spernacchiarlo sonoramente e in mondovisione.
È vero, l’America – così come è stata costruita, sulla violenza e la sopraffazione – vive nel culto del possesso e dei soldi, ma è sempre stata in grado di mettere un freno agli istinti primordiali dell’homo homini lupus. Stavolta, però, sembra imbambolata da un pifferaio magico oltreché cattivo.
In soli sei mesi di presidenza Trump, il patrimonio suo e della sua famiglia è cresciuto di circa 4 miliardi di dollari. Ha trasformato la Casa Bianca in una specie di succursale dei Casamonica, riempiendola di ori, stucchi e quadri il cui unico soggetto è lui medesimo.
E se qualcuno prova, se non ad opporsi, almeno a sollevare una larvata critica, non esita a mandare l’Fbi nell’abitazione del malcapitato a cercare prove di inesistenti complotti. È capitato l’altro giorno al suo ex consigliere per la Sicurezza nazionale, durante il suo primo mandato, John Bolton, reo di essere critico della politica di Trump sulla Russia.
Ha licenziato con un post sul suo social network, “Truth” (Verità), la responsabile per le Statistiche del lavoro, Erika McEntarfer, accusandola di aver falsificato i dati sull’occupazione negli Usa perché inferiori a quelli della presidenza Biden.
Eppure noi europei, come dementi, continuiamo a credergli. Non siamo in grado di reagire, di fargli sentire la furia di 500 milioni di persone che ne hanno piene le scatole delle sue prese in giro, dei suoi proclami, delle sue pazzie.
C’è una bella frase del mitico Gianfranco Funari che ben si adatta alla bisogna: “Se uno è stronzo non gli puoi dire stupidino, così gli crei delle aspettative”.


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