Berlusconi: i tributi, la piaggeria
- di: Redazione
La morte di Berlusconi (che per i suoi tanti estimatori è arrivata inattesa, nonostante se ne conoscessero le delicate condizioni di salute da molto tempo) ha innescato una serie di reazioni che, dal punto di vista mediatico e della comunicazione, hanno mostrato due aspetti del Paese nei confronti dello scomparso: chi ne ha sottolineato l'importanza nella politica italiana degli ultimi trent'anni, glorificandone le iniziative e non parlando degli errori che pure ha fatto, e chi acriticamente lo ha deificato, facendone un concentrato innaturale di virtù e bontà assoluta.
Berlusconi non era questo, anche se, in pubblico, gli piaceva mostrare di sé il lato più gradevole e, quindi, di maggiore impatto sul popolo elettore.
Ma da qui a farne un santo il balzo è troppo lungo, anche per chi lo ha idolatrato in vita e continua a farlo in morte.
Berlusconi: i tributi, la piaggeria
Non stiamo qui ad analizzare il cammino che, dalla scesa in campo del 1994 a ieri, ha percorso l'astro Berlusconi nel firmamento della politica italiana perché, come si usa dire, il giudizio spetta alla storia.
Oggi ci limitiamo ad analizzare come gli aedi del berlusconismo, inteso quasi come un culto della persona più che della personalità, abbiano perso ogni freno, ogni remora nel celebrarlo, in un'ondata emozionale che ha travolto anche il buongusto, come è accaduto quando, al coro di dolore, si sono aggiunte delle donne che in passato sono state accostate a Berlusconi non certo per motivi politici. Si è quindi assistito quasi ad una gara a chi diceva le cose più celebrative, con la ricerca di parole che coinvolgessero emozionalmente e che, invece, hanno anche avuto effetti comici involontari. Come quando una giornalista ha detto che per i figli Berlusconi è stato più di un padre. Una frase di cui ci sfugge il senso, ma che a chi se ne è fatta propalatrice deve essere sembrata bella.
Berlusconi ha sempre detto di essere uomo di ideali, ma, dietro la maschera ufficiale, era soprattutto pratico e le attestazioni di cordoglio che sono sfociate in lacrime e pianti davanti alle telecamere non gli sarebbero piaciute molto.
Partendo, poi, dal presupposto che Mediaset era la sua azienda (nel senso che l'ha pensata, creata e resa un gigante in virtù del suo essere imprenditore visionario), era scontato che i dipendenti facessero di lui ritratti al miele, al gusto di riconoscenza. Ma la reiterazione di messaggi, di letterine, di genuflessioni alla fine ha avuto un effetto straniante.
E' sembrato di rivivere l'epopea di Guido Angeli, quello di ''provare per credere''. Angeli, per celebrare il ricordo di Giorgio Aiazzone - del cui mobilificio era diventato testimonial e che era appena scomparso in un incidente aereo -, fece una diretta di ottanta minuti da solo davanti alle telecamere e a una sedia vuota dove immaginava sedesse l'imprenditore. Tra la voce rotta dalla commozione, luci soffuse e la presenza dominante del ''nulla'' (con l'inquadratura costante della seggiola in cui ci si doveva immaginare la presenza di Aiazzone), Angeli, nel 1986, portò il necrologio ad arte della comunicazione verbale e visiva. Lo stesso accaduto ieri. Solo che, se nel caso Angeli-Aiazzone, il legame era commerciale, in quello di Berlusconi è emozionale, ma anche d'immagine e forse convenienza, per chi intende accreditarsi verso la nuova leadership di Forza Italia, sempre che il partito possa sopravvivere alla morte del suo fondatore e all'ordalia che presiederà all'imminente resa dei conti per conquistarne l'eredità.