Unicredit sfida Germania e golden power. Commerzbank resiste, il Tar decide su Bpm. E Bruxelles prende tempo ma prepara le carte.
Orcel (foto) accelera, Berlino frena
Andrea Orcel ha deciso di spingere sull’acceleratore. Il ceo di Unicredit ha portato la sua partecipazione in Commerzbank dal 10% al 20%, con opzioni concrete per sfiorare il 30% grazie alla conversione di strumenti derivati. Una mossa definita “non amichevole” e “non concordata” dal governo tedesco, che ha subito alzato le barricate: “Non cederemo la nostra quota del 12% e respingiamo il metodo Unicredit”.
Berlino vede nell’ascesa silenziosa dell’istituto italiano una violazione implicita dell’autonomia strategica del proprio sistema bancario, già sottoposto a stress strutturali e politiche di consolidamento forzato.
Commerzbank: no a scalate ostili
Commerzbank ha reagito in linea con il governo: “Non abbiamo concordato alcuna operazione con Unicredit”, ha chiarito un portavoce della banca. Il fatto che Unicredit non abbia negoziato apertamente prima di salire nel capitale è stato letto come uno sgarbo diplomatico che riapre vecchie ferite.
Già nel 2019, un tentativo informale di avvicinamento era naufragato per opposizioni politiche.
Golden power e Banco Bpm: l’incognita italiana
Ma se Berlino alza la voce, a Roma regna la confusione. Il nodo è il golden power esercitato dal governo italiano per bloccare alcuni aspetti dell’OPS lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Il 9 luglio, durante l’udienza al Tar del Lazio, lo scontro è stato durissimo.
Gli avvocati dello Stato hanno difeso il decreto con cui Palazzo Chigi ha imposto vincoli a Unicredit, ritenendoli pienamente legittimi e “inattaccabili”, chiedendo persino di sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Dall’altra parte, il legale della banca ha parlato di “provvedimento immotivato”, evocando “il fantasma della discrezionalità politica”.
Il Tar deciderà entro il 16 luglio, ma non è esclusa una pronuncia anticipata.
Bruxelles temporeggia, ma osserva
Intanto, la Commissione Europea guarda con attenzione all’uso italiano del golden power. Non è stata ancora inviata alcuna lettera formale al governo, ma è in corso un dialogo informale nell’ambito della procedura EU Pilot.
Il punto è la compatibilità delle misure italiane con l’articolo 21 del Regolamento UE sulle concentrazioni, che consente limitazioni solo per motivi di “interesse pubblico” purché siano “proporzionate”. L’UE si è impegnata a “lavorare il più rapidamente possibile” in vista della scadenza del 23 luglio per la chiusura dell’OPS.
Roma non sembra disposta a trattare sull’uscita di Unicredit dalla Russia, mentre potrebbero esserci margini di compromesso su titoli Anima, project financing e solidità patrimoniale.
Un risiko geopolitico che supera i confini bancari
La tensione tra Unicredit e Berlino va oltre la finanza. Siamo di fronte a un mix di nazionalismi economici, protezionismi mascherati da interesse strategico e una Europa frammentata nei dossier industriali.
Che una fusione bancaria tra due Paesi fondatori della Ue sia ostacolata da golden power, veti politici e sospetti reciproci dimostra la fragilità del mercato unico. Il vero nodo è il controllo: né Italia né Germania vogliono cedere leve strategiche, anche a costo di sacrificare dividendi e sinergie.
La Borsa festeggia Orcel, ma l’Europa no
I mercati sembrano apprezzare la determinazione di Orcel. Il titolo Unicredit ha chiuso il 9 luglio con un balzo del 4,59%, toccando i 61,1 euro per azione, nuovo record storico. Banco Bpm ha segnato un +2,3%.
Ma mentre gli investitori applaudono, le cancellerie europee si irrigidiscono. L’avanzata su Commerzbank e Banco Bpm mette alla prova il principio del libero movimento dei capitali.
La decisione si avvicina, e sarà politica
La vera domanda è se il progetto di Orcel – consolidare Unicredit come banca paneuropea – potrà resistere ai muri politici. Il Tar deciderà entro il 16 luglio. La Commissione UE potrebbe muoversi entro fine mese. Berlino resta trincerata.
L’Europa della finanza integrata, almeno per ora, resta una promessa incompiuta. E la partita, come spesso accade, si gioca più nei palazzi della politica che nei consigli di amministrazione.