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La Bce dice no: lo scontro sugli asset russi apre un fronte interno nell’Europa del dopo-guerra

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La Bce dice no: lo scontro sugli asset russi apre un fronte interno nell’Europa del dopo-guerra

Il no è arrivato in modo netto, senza ricorrere a giri di parole o formule di cortesia. Secondo quanto riportato dal Financial Times, la Banca centrale europea ha respinto la richiesta della Commissione Ue di fornire garanzie per il maxi-prestito da 140 miliardi destinato all’Ucraina. Una decisione che, nel linguaggio prudente delle istituzioni, ha il peso di una frattura. Perché segnala un limite preciso: l’Eurotower considera la proposta fuori dal proprio mandato, un terreno su cui – almeno per ora – non intende avventurarsi.

La Bce dice no: lo scontro sugli asset russi apre un fronte interno nell’Europa del dopo-guerra

Il rifiuto arriva mentre Bruxelles accelera nel tentativo di trovare le risorse necessarie a sostenere Kiev, con il conflitto che continua e gli spazi politici che si restringono. L’idea della Commissione era costruire un meccanismo di garanzia legato ai proventi degli asset russi immobilizzati: titoli e risorse sequestrate dopo l’invasione, custodite soprattutto presso Euroclear, il grande depositario belga.

Il nodo degli asset russi e il rapporto Bruxelles-Francoforte
Nelle intenzioni della Commissione, quegli asset avrebbero dovuto rappresentare una sorta di scudo finanziario, capace di sostenere l’emissione del prestito senza gravare subito sui bilanci nazionali. Ma la Bce ha contestato l’impianto. Il rischio, spiegano funzionari citati dal Financial Times, è di creare un precedente che coinvolga la banca centrale in un terreno che non le appartiene: l’uso di beni congelati di uno Stato terzo come garanzia per operazioni di lungo periodo. Una deviazione che potrebbe esporre l’istituzione a tensioni giuridiche e politiche difficili da contenere.

Il messaggio di Francoforte è chiaro: la stabilità monetaria non può essere sacrificata sull’altare delle necessità geopolitiche, per quanto pressanti.

Le difficoltà europee nella costruzione del prestito

Il rifiuto della Bce complica il percorso, già fragile, del maxi-finanziamento da 140 miliardi. Bruxelles si trova ora senza una garanzia istituzionale forte, mentre cresce il timore che gli investitori possano considerare l’operazione meno solida del previsto. Euroclear, che detiene la maggior parte delle attività russe immobilizzate, diventa il centro di una disputa che intreccia sanzioni, diritto internazionale e finanza. E gli Stati membri osservano con crescente preoccupazione i tempi che si allungano.

L’assenza della Bce nella catena delle garanzie non è solo un dettaglio tecnico: è un segnale che rischia di rallentare in modo significativo l’erogazione dei fondi verso Kiev.

Un braccio di ferro che rivela una crepa più profonda
Il caso degli asset russi non è soltanto una questione di contabilità europea. Racconta l’incapacità, almeno per ora, dell’Unione di trovare una sintesi tra necessità politiche, ambizione strategica e limiti istituzionali. La Commissione spinge per una risposta straordinaria all’emergenza ucraina; la Bce rivendica la necessità di restare nel proprio perimetro operativo. Due visioni che faticano a sovrapporsi, e che rendono evidente la fragile architettura del progetto europeo in tempi di guerra.

La partita resta aperta
Dopo lo stop della Bce, la Commissione dovrà ripensare il meccanismo di finanziamento, forse coinvolgendo direttamente gli Stati membri o costruendo nuove basi giuridiche per l’operazione. Intanto resta la domanda chiave: quanto è pronta l’Europa a ridefinire i propri strumenti per sostenere l’Ucraina, e quanto è disposta ad allargare i confini del suo mandato economico?

Per ora, l’unica certezza è che la distanza tra Bruxelles e Francoforte ha reso la partita ancora più difficile. E che il tempo, per Kiev, continua a correre più veloce delle decisioni europee.

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