In Basilicata l'opposizione implode, Renzi e Calenda appoggiano il candidato della destra

- di: Redazione
 
La scelta di campo di Azione e Italia Viva, per le elezioni regionali in Basilicata, in aprile, segnano la fine dell'opposizione alla maggioranza nazionale di centro-destra, certificando che la Politica (con la P maiuscola) è spesso sacrificata sull'altare degli interessi personali.
Quindi, a meno di stravolgimenti nel consenso degli elettori lucani, Vito Bardi, presidente uscente della Giunta regionale, potrebbe tranquillamente attendere il voto in poltrona, perché i numeri sono numeri e su di lui convergerà l'appoggio di tutto il centro-destra tradizionale (anche di arbusti e ramoscelli) e anche quello dell'ultima ora di Matteo Renzi e Carlo Calenda che, sebbene non abbiano un seguito enorme, contribuiranno ad un trionfo annunciato.

In Basilicata l'opposizione implode, Renzi e Calenda appoggiano il candidato della destra

Quanto sta accadendo in Basilicata è solo l'ultima conferma della rissosità nell'opposizione di sinistra (o come tale classificata, per pigrizia dei giornalisti), figlia di scorie che si portano dietro Pd e Cinque Stelle, ciascuno convinto di meritare la primazia della coalizione, perché i partiti sono fatti, oltre che di idee, soprattutto da uomini, ciascuno con le proprie convinzioni. Come quella di essere migliore dell'alleato e, quindi, di potere rivendicare il ruolo di capofila. 
E' la solita storia, come se il tempo non riesca proprio a insegnare nulla. 
Qui non c'entrano i meriti o i demeriti del governo di Giorgia Meloni, ma la certezza che dall'altro lato della barricata sembrano più interessati a farsi la guerra tra loro piuttosto che, come si usa talvolta dire, canalizzare le proprie energie per un obiettivo comune. 
Con questa opposizione - vera, presunta o altro - il centro-destra potrà restare in sella per dieci anni, come da auspicio e previsione di tanti. A meno di incappare in un problema interno, mai da escludere quando c'è qualcuno che si agita, alla perenne ricerca di un modo per sconfiggere gli aruspici, che predicono un futuro di sventure per un partito in caduta libera, dopo i fasti appena pochi anni fa.
Ma, se a destra c'è un minimo di preoccupazione in materia di alleanze, in vista delle prossime elezioni europee, sull'altro lato del confine non c'è nulla che dia garanzie sulla prosecuzione di quel dialogo di cui, paradossalmente, la Sardegna rischia di essere il solo esempio di una alleanza che abbia avuto sbocco positivo.
Il clima che si respira in queste ore è sconcertante. Basta sentire le parole che ha pronunciato, poche ore fa, Marcello Pittella (un cognome che in Basilicata è ancora politicamente molto spendibile) per spiegare i rapporti che ci sono o c'erano tra il suo Partito, Azione, e il resto dell'opposizione, con particolare riferimento al Partito democratico. 
Il paragone che ha fatto è molto forte :''C'è proprio un'azione a far male, a far morire. Sapete quando deportavano gli ebrei e dovevano portarli nelle camere a gas? Ecco, io sono uno che deve morire''. Parole brutali che forse si sarebbe potuto evitare in un momento storico in cui gli ebrei - anche se sarebbe più corretto dire Israele - sono al centro di tensioni e polemiche. Ma è il segnale di come ormai il dibattito è ridotto a scambio di accuse, ma soprattutto di improperi e anatemi.
 
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