L'evoluzione della mobilità urbana

- di: Daniele Maver
 

La popolazione mondiale è prevista crescere dagli attuali 8 miliardi a circa 9.7 nel 2050. Questa crescita avverrà esclusivamente nelle grandi metropoli che passeranno dal 50% al 70% del totale degli abitanti del pianeta. Già oggi ci sono agglomerati urbani che raggiungono quasi 40 milioni di abitanti, specie in Asia.

Questo pone una serie di sfide nella gestione di città così grandi, non ultimo la questione della mobilità. L’uso dell’automobile privata nei centri urbani è responsabile di diversi problemi: il traffico, la scarsità di parcheggio, l’elevato numero di incidenti dovuti alla mancanza di sicurezza e l’aumento dell’inquinamento e delle emissioni di CO2.

Traffico e mancanza di parcheggio fanno perdere parecchio tempo alle persone. Per quanto riguarda la sicurezza, ogni anno ci sono nel mondo circa 1.3 milioni di decessi per incidenti stradali, uno ogni 25 secondi, oltre la metà dei quali (54%) sono pedoni, ciclisti, motociclisti (dati WHO). L’inquinamento all’interno delle città è creato principalmente dagli impianti di riscaldamento e dall’utilizzo dei motori a combustione, ma anche dallo sfrido dei freni e degli pneumatici.

La transizione verso motori elettrici è un fenomeno che potrà ridurre l’inquinamento, migliorando la salute della popolazione, in particolare dei bambini che risentono maggiormente dei gas di scarico che tendono ad accumularsi verso il basso. I motori elettrici hanno un minor livello di inquinamento lì dove operano, in quanto le emissioni allo scarico sono zero e il particolato emesso dal consumo dei freni è inferiore perché le vetture elettriche utilizzano nella maggioranza dei casi la frenata rigenerativa che ricarica le batterie. Lo sfrido delle gomme sull’asfalto potrebbe invece essere in parte superiore per i BEV perché sono in generale più pesanti. Le vetture elettriche hanno un impatto ambientale di CO2 inferiore, anche considerando l’intero ciclo di vita (produzione, uso e riciclo della vettura e delle sue componenti) nonché la produzione e il trasporto dell’energia (petrolio per le ICE e energia elettrica per le BEV). L’impatto è circa la metà e varia in funzione di come viene prodotta l’energia elettrica, se con fonti a zero emissioni (rinnovabili e nucleare) o con combustibili fossili.

Ma i veicoli elettrici  non sono la panacea di tutti i mali: sostituendo le vetture attuali con BEV il traffico e la mancanza di parcheggio rimarranno tali e quali, così come pure i problemi legati alla sicurezza.

Serve perciò ripensare in toto la mobilità all’interno delle città.

Il punto di partenza è prendere atto che l’automobile, protagonista dello sviluppo economico e sociale del ‘900 non può più essere la dominatrice incontrastata dei centri urbani, come ancora avviene in molte città in particolare americane e del Sud Europa: è necessario porre dei limiti all’uso dell’auto per valorizzarne le caratteristiche di estrema flessibilità e libertà, evitando però che diventi un sopruso ai danni della comunità dei cittadini.

Lo spazio delle strade dovrebbe rientrare nel concetto anglosassone dei commons, beni a disposizione dell’intera comunità dei cittadini, non del primo che lo occupa parcheggiando a tempo indefinito.

In diverse città ci sono restrizioni all’ingresso di auto private in centro. In alcuni casi, come Londra e Milano, è diventato obbligatorio il pagamento di un pedaggio (congestion charge), mentre in altri si è scelto di limitare l’accesso con la creazione di zone ZTL.

Tutte le città europee stanno ponendo dei limiti all’ingresso di vetture vecchie (oltre 15-20 anni di età) perché queste auto hanno livelli di emissioni troppo elevati e standard di sicurezza bassi.

Alcune città extraeuropee hanno preso misure più drastiche, riducendo le possibilità di parcheggiare sulle strade dei centri urbani. Considerando l’intera area metropolitana, Tokyo è la città più popolosa del mondo con 37 milioni di abitanti; il parcheggio nelle strade è in molte zone vietato e in altre è limitato a 60 minuti. Questo evita, come avviene in Italia, che lo spazio sulla strada venga occupato da vetture in sosta a lungo termine.

A Sydney il parcheggio è in generale consentito solo a tempo determinato (max 4 ore); in alcune strade poi si può parcheggiare solo nei momenti di poco traffico, perché nei momenti di punta tutte le corsie sono destinate allo smaltimento del traffico.

Un primo passo potrebbe essere quello di rendere il parcheggio su strada a pagamento, per tutti anche per i residenti. Si potrà poi studiare una forma di indennizzo per le famiglie a basso reddito se necessario.

Ridurre lo spazio occupato dalle auto ferme sulle strade può consentire di ampliare le piste ciclabili, le aree pedonali e infine di far fluire meglio il traffico.

Le scelte che comportano una inevitabile diminuzione del numero di vetture private in città devono essere accompagnate da politiche che permettano alternative di mobilità, sostanzialmente basate su un trasporto pubblico efficiente e decoroso.

Importante è la presenza capillare della metropolitana: ad esempio quelle di Parigi e di Londra rappresentano da parecchi anni un esempio di buon funzionamento. In Italia abbiamo qualche esempio positivo (Milano) ma in alcuni casi sono nell’immaginario collettivo un esempio deteriore (in un libro di Nicola Lagioia un personaggio definisce la metropolitana di Roma “trascinapoveri”).

Per piccoli spostamenti un’alternativa può essere l’utilizzo di una mobilità dolce, un modo di spostarsi senza utilizzare motori a combustione e svolgendo un’attività fisica.

Un concetto innovativo è quello della città in 15-minuti, una città in cui si creano delle zone, dei quartieri dove tutti i servizi essenziali sono raggiungibili in 15 minuti a piedi o in bicicletta. Un esperimento interessante di questo concetto è quello di alcune zone di Barcellona, dette superblocks, dove il traffico è convogliato all’esterno di queste aree, mentre all’interno i veicoli si devono muovere al massimo a 10 km/h, privilegiando in tal modo gli spostamenti a piedi o in bicicletta: il recupero di una dimensione umana, di relazioni anche all’interno di una grande città.

La riduzione della velocità nei centri urbani è un elemento che può contribuire a ridurre il numero di morti, specie tra pedoni e ciclisti; per questo in alcune città tra cui Berlino, Bruxelles e di recente Bologna è stato adottato il limite dei 30 km/h che se può sembrare inutile a chi guida, in realtà ha dimostrato una riduzione del numero di incidenti, senza un sensibile allungamento dei tempi di percorrenza.

Il tassello finale è un sistema che consenta ai cittadini di usare in modo integrato tutti i mezzi di trasporto: avere cioè un sito o una app dove poter trovare tutte le informazioni relative alla mobilità (autobus, metro, parcheggi, car sharing, bici e monopattini), poter pianificare un itinerario efficiente con l’utilizzo dei mezzi migliori e poter pagare in un’unica soluzione l’intero tragitto. È quanto si sta sperimentando in alcune città italiane creando dei sistemi di MaaS (Mobility as a Service) con i fondi del PNRR.

In tutto questo l’automobile continuerà a svolgere un ruolo importante perché ci sono tutta una serie di situazioni in cui il traporto pubblico o la micromobilità non sono soluzioni adatte; ma dovrà rispettare dei limiti e integrarsi con gli altri mezzi.

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