Giustizia: una riforma a singhiozzo non fa bene al Paese
- di: Redazione
Il buon Dio ci ha messo sei giorni per fare questo mondo, e anche per costruire le basi della grandezza di Roma di tempo ce n'è voluto. Quindi è solo un'illusione sperare che il guardasigilli trovi, da qualche parte, nascosta tra i meandri del Ministero della Giustizia, una bacchetta magica che risolva tutti i problemi.
Ma da qualche parte si deve pure cominciare, e qualcosa si è fatto, anche se le mosse di Carlo Nordio, che si è insediato nel ministero di via Arenula non ieri, ma da quasi due anni, non è che siano sempre chiare, almeno ai profani (che sono in numero maggiore) rispetto ai giuristi, tra i quali, peraltro, il giudizio sugli aggiustamenti alla Giustizia non è unanime.
Già la cancellazione di alcuni reati - come l'abuso d'ufficio e il traffico di influenze -, sui quali ci si dovrà confrontare con Bruxelles ha creato non poche perplessità, ma sono gli altri provvedimenti, alcuni già approvati e altri annunciati (o, guardandoli da una prospettiva diversa, minacciati) a ingenerare perplessità sulla loro effettiva efficacia, sull'urgenza della loro approvazione, sulla fattibilità (che, in fondo, è la differenza tra cosa si spera e cosa poi si ottiene).
Giustizia: una riforma a singhiozzo non fa bene al Paese
Ma Nordio è deciso ad andare avanti per la sua strada, pur nella consapevolezza che, dentro la maggioranza di governo, convivono sensibilità diverse sulla Giustizia, tra chi porta la ricerca di garantismo sino all'estremo e chi, invece, predica maggiore rigore nell'applicazione delle leggi.
Cose che dovrebbero andare di pari passo, non essendo concettualmente antitetiche, ma che, passando dall'ideazione all'attuazione, sono necessariamente destinate ad entrare in conflitto.
Interessante, quindi, è leggere oggi l'intervista che Nordio ha dato al Corriere della Sera e che gli ha dato la possibilità di raccontare la sua verità, rispetto alle cose che propone e a come vengono interpretate.
Come scontato, il Guardasigilli ha difeso ogni sua scelta, dando una spiegazione a tutto. Come al fatto che mentre il parlamento discuteva delle misure, ad esempio, per alleviare il disagio nelle carceri, lui in aula non ci è andato proprio, segnando una quasi novità rispetto alla consuetudine che vede i ministri sedere in aula quando c'è da illustrare e votare provvedimenti di peso.
Per lui di tutto si è trattato - dicendo che era stato in aula innumerevoli volte - meno che quello sgarbo sollevato dall'opposizione che, ha detto, conferma in questo modo di non avere argomenti.
Ma serve necessariamente una riflessione su quel che Nordio ha detto sul fatto che, per le opposizioni, il decreto sulle carceri di recente approvazione sia poco più che uno spot, per annunciare nuove assunzioni per il personale carcerario.
Sulla carceri, ha precisato Nordio, ''abbiamo dei progetti che vogliamo illustrare al capo dello Stato. Sarebbe irriguardoso anticiparli qui''.
Ora, c'è da chiedere, dove era il riguardo quando ha annunciato la sua imminente salita al Colle per parlare di carceri con Mattarella, senza prima averla concordata con il presidente della Repubblica?
Eppure un giurista come Nordio dovrebbe sapere che, oltre alle prerogative del Presidente della Repubblica codificate dalla Costituzione, ci sono delle regole di comportamento che non possono essere dimenticate, come ha fatto lui anticipando una visita al Colle non concordata con il suo più importante inquilino che, dicono i quirinalisti, non è che abbia molto gradito.
Le speranze di una cura dimagrante per le nostre carceri, per Nordio, si concretizzano in pene alternative per i tossicodipendenti (come scontare la condanna in strutture che non prevedano una detenzione di tipo tradizionale), e nel fare rientrare nei Paesi d'origine i detenuti stranieri. Alla fine il numero di detenuti potrebbe diminuire di ventimila unità.
Ora, pur non avendo l'ostinata voglia di certezze di san Tommaso, queste affermazioni qualche domanda la determinano.
Ad esempio; quali possano essere i meccanismi pe rimandare, nei loro Paesi, i detenuti stranieri? Lo si farà, per come è giusto, solo quando la sentenza passerà in giudicato, percorso che in Italia può dilatarsi anche nell'arco di più anni e quindi rendendo lontana la soluzione del problema sovraffollamento?
Ancora: quali costi il rimpatrio di detenuti determinerà, posto che il trasferimento dovrebbe essere destinato, a guardare le statistiche, a soggetti provenienti nella quasi totalità da Paesi extra-europei? Nei costi sono stati inseriti anche quelli relativi al dispositivo di sicurezza per mettere in pratica il trasferimento dei detenuti (spostamenti dal reclusorio all'aeroporto, dispiegamenti di personale della polizia penitenziaria, indennità di trasferta all'esteri e spese di permanenza per chi, materialmente, farà da scorta al detenuto in aereo, ragionevolmente in rapporto di due a uno?
E infine, domandone da mille punti, cos'è che dà al Guardasigilli la certezza che i Paesi di origine riaccoglieranno in patria connazionali condannati all'estero, ai quali garantire la detenzione per il periodo restante rispetto all'originaria pena stabilita da giudici di altra Nazione?
Anche solo questo punto potrebbe risolversi in una palude burocratica, magari con i Paesi d'origine dei detenuti che potrebbero chiedere all'Italia un contributo. Moltiplicate questo scenario per almeno diecimila persone e il giochino è fatto.