Su lavoce.info il prof. Chiloiro (foto) smonta la mini-riforma sui sindaci: “palliativo senza visione”. Serve un modello più snello, integrato e trasparente.
La nuova norma sull’art. 2407 del Codice civile rischia di essere solo “una cura al sintomo”, senza toccare il cuore malato della governance societaria italiana. A dirlo con chiarezza è il prof. Andrea Chiloiro, docente all’Università di Pavia, in un’analisi lucida e incalzante pubblicata per il rinomato network economico lavoce.info.
Secondo Chiloiro, la limitazione della responsabilità patrimoniale dei sindaci, ancorata ora al compenso e con prescrizione fissata a cinque anni, è una concessione alla categoria dei commercialisti, ma senza una visione strategica: “La legge 35/25 risolve parzialmente uno squilibrio economico-assicurativo”, puntualizza l’autore, “ma lascia intatto un modello di controllo ridondante e costoso”.
Un’occasione persa (di nuovo)
L’Italia, denuncia Chiloiro, resta ancorata a un impianto di governance “ottocentesco”, dominato dal collegio sindacale, mentre la gran parte dei Paesi avanzati ha ormai adottato sistemi più efficienti. Il confronto con Regno Unito e Paesi Bassi è illuminante: lì controllo e gestione sono integrati nello stesso board, con ruoli ben distinti.
“Abbiamo trattato solo un tema settoriale”, osserva Chiloiro, “senza cogliere l’occasione di collegare la misura difensiva a un disegno riformatore ampio, come accaduto altrove”.
Un sistema che non cambia
Dal 2003 le società italiane possono scegliere tra tre modelli – tradizionale, monistico e dualistico – ma il 90% delle non quotate è rimasto fedele al primo. “Path dependence, norme conservative e scarsa alfabetizzazione sulla governance”, elenca Chiloiro come motivi del blocco. Ma il punto chiave è il peso del collegio sindacale, visto ancora come unico presidio naturale contro gli abusi degli amministratori.
Eppure, insiste il prof. Chiloiro, un audit committee interno al board (modello one-tier) “richiederebbe meno risorse, avrebbe accesso diretto alle informazioni e sarebbe più apprezzato dal mercato”. A confermarlo sono i dati dell’OECD Corporate Governance Factbook: su 49 giurisdizioni, ben 23 adottano il monistico come default, mentre solo tre – tra cui l’Italia – mantengono il vecchio sistema tripolare.
La riforma che non c’è (ma si può fare)
L’analisi propone una via d’uscita chiara, articolata in quattro mosse:
- Obbligo temporaneo di opt-in al modello one-tier per le società medio-grandi;
- Rafforzamento del revisore legale come interlocutore principale dell’audit committee;
- Allineamento agli standard internazionali, come l’UK Code 2024, con reporting anche sui controlli non finanziari;
- Un “patto di responsabilità”: tetto risarcitorio esteso al comitato, incentivi fiscali e polizze Rc calmierate per i commercialisti.
È questa, per Chiloiro, la vera posta in gioco: “Archiviare il collegio sindacale”, nato con il codice di commercio ottocentesco, e adottare una cultura dei controlli integrati, efficiente e credibile.
Trasparenza, questa sconosciuta
Ma non basta la tecnica normativa. Il punto, denuncia il prof. Chiloiro, è anche il metodo. “In Italia l’attività di lobbying resta opaca”, scrive. Mentre nei Paesi anglosassoni esistono registri pubblici, obblighi di disclosure e tracciabilità degli incontri, da noi – dopo 108 proposte di legge in 50 anni – il registro unico è ancora fermo in Parlamento.
Il caso dell’art. 2407 è emblematico: “Il confronto fra governo e professionisti si è svolto dietro le quinte, senza vere call for comments o audizioni trasmesse”, rimarca Chiloiro. Il risultato? Una norma tecnica, ma senza respiro.
Un monito finale (alla luce del sole)
L’articolo si chiude con una doppia lezione: le competenze dei professionisti non devono servire solo ad abbassare il rischio, ma possono diventare motore di innovazione; e la politica deve imparare a negoziare alla luce del sole.
Per Chiloiro, “il vero salto di qualità passa da una cornice trasparente che trasformi il lobbying da negoziato opaco in leva per decisioni pubbliche migliori”. Fino ad allora, il collegio sindacale resterà lì: vetusto, costoso e sempre più fuori tempo massimo.