Nell’autunno di Roma grandeggia Botero

- di: Samantha De Martin
 

Quando Fernando Botero lasciò la scuola per matador per diventare un artista, dopo avere iniziato a dipingere da giovanissimo, non avrebbe mai immaginato di imporsi precocemente sulla scena artistica internazionale. Tutto cominciò a partire dal 1961, quando il Museum of Modern Art di New York decise di acquistare il suo Monna Lisa all’età di dodici anni (1959). Seguì un tour di successo in giro per il mondo con la fama destinata a crescere.

I sessant’anni di carriera intensa che ne seguirono si raccontano adesso in una mostra, la prima e più completa esposizione di pittura mai realizzata in Italia a un anno dalla scomparsa del maestro colombiano, avvenuta il 15 settembre dello scorso anno.

Ad accoglierla è fino al 29 gennaio Palazzo Bonaparte, che rende omaggio a uno degli artisti più amati dal grande pubblico internazionale, maestro a tutto tondo, amatissimo dai più, nonché perfetto interprete del nostro tempo.

“Essere un pittore, e soltanto un pittore”

“La mia ambizione era di essere un pittore, e soltanto un pittore. Ho cominciato a dipingere a quattordici anni e da allora non c’è stato nulla che sia riuscito a farmi smettere. Vivo con una costante fame d’arte. Aspiro a esplorare i problemi fondamentali della pittura.

Non ho mai trovato altro nella vita che mi causi altrettanto piacere” scrisse il padre dei soggetti dalle fisicità corpulente, del volume, dell’uso iperespressivo del colore.

Quell’abbondanza, che per Botero è anche positività, ricchezza, vita, da sempre il suo marchio iconico, attraversa adesso le sale di Palazzo Bonaparte grazie agli oltre 120 capolavori in mostra, tra dipinti, acquerelli, sanguigne, carboncini, sculture e alcuni straordinari inediti, prestati eccezionalmente solo per questa occasione. Patrocinata dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma – Assessorato alla Cultura, prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la Fernando Botero Foundation e in partnership con la Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale e Poema, curata da Lina Botero, figlia dell’artista, e Cristina Carrillo de Albornoz, grande esperta della sua opera, la mostra, che esplora anche la straordinaria relazione tra Botero e l’Italia, si apre con Omaggio a Mantegna (1958). Si tratta di un’opera mai esposta prima, prestito straordinario proveniente da una collezione privata degli Stati Uniti, recentemente scoperto da Lina Botero tramite Christie’s.

La prima grande mostra di pitture dedicata a Botero dopo la sua morte

“Questa - commenta Lina Botero, è una mostra eccezionale perché è la prima grande esposizione di pitture dedicata a Fernando Botero dopo la sua morte. È anche una visione diversa del suo lavoro, che mette in evidenza la maestria con cui Botero ha lavorato con tecniche diverse nel corso della sua carriera artistica. È un’occasione straordinaria per celebrare il primo anniversario della morte di mio padre in Italia, un Paese che ha significato molto per lui e per il suo lavoro”.

Ammaliato dalla “Camera degli sposi” di Mantegna nel Palazzo di Mantova, autentico gioiello del Rinascimento, Botero decise di rendere omaggio al maestro italiano dopo il suo viaggio in Italia. Scelse pertanto l’affresco della parete nord, la scena della corte dei Gonzaga nella quale Ludovico è raffigurato seduto mentre riceve una lettera dal suo segretario, Marsilio Andreasi. Intorno a lui ci sono i suoi parenti, scena che Botero trasformò in un’opera tutta sua, nella quale esaltò la monumentalità e il colore, vincendo con questo quadro il primo premio al Salone Nazionale di Pittura della Colombia nel 1958.

La mostra abbraccia le versioni di capolavori della storia dell’arte, come la “Fornarina” di Raffaello, il dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Van Eyck, ma anche le ultime opere realizzate nel 2023 come il grande acquerello dell’Odalisca.

Dallo studio parigino dell’artista giunge a Roma una versione dell’infanta da “Las Meninas” di Velázquez, pittore che Botero copiò durante il suo apprendistato al Prado da giovane studente.

Si tratta di un’opera fondamentale ed inedita, mai esposta al pubblico.

Il visitatore attraversa le iconiche serie con i temi classici e a lui più cari come l’amata America Latina, la religione, il circo, la mitologia, la natura morta e la corrida, quest’ultima interpretata attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso.

Una sala è dedicata alla sperimentazione più recente del maestro che, dal 2019, dipinse con una nuova tecnica degli acquerelli su tela e in grandi formati. Il pubblico attraversa opere quasi diafane, sintesi dell’opera di una vita, frutto di un approccio delicato ai temi familiari di sempre.

Botero e la scultura

Botero scultore si racconta invece in una delle sezioni del percorso. Iniziò a scolpire a metà degli anni Settanta con opere di piccolo formato. Il suo primo modello fu la sua mano. Ogni estate andava a Pietrasanta, in Toscana, città dalla straordinaria tradizione scultorea e dove c’erano sette fonderie.

Dall’importanza del disegno alla natura morta (“non si può pensare a nessun grande artista senza pensare alla sua capacità di disegnare” scriveva), dai pastelli alla religione (affermava di essere “a volte credente, a volte agnostico”, dal tema degli acquerelli alle radici colombiane, il visitatore è invitato a entrare nell’arte e nella vita di Botero comprendendo e facendo propria la comunione totale con il suo paese paese. La mia vita è sempre stata in Colombia, la mia terra è sempre stata la Colombia. Lì la natura esuberante, l’amore, la musica, la politica, le classi del potere danno forma alla storia del paese” scrisse.

“In Italia, a 20 anni, quando si confrontò con i capolavori del Rinascimento italiano, in particolare Piero della Francesca, Paolo Uccello e Masaccio, con forme massicce e colori straordinari - commenta Cristina Carrillo de Albornoz - avvenne la sua “metamorfosi”. Botero si è sempre interessato al volume, fin dai suoi inizi, in modo inconsapevole, ma ha capito la sua trascendenza nell’arte studiando i maestri del Quattrocento italiano”.

“La forza di Botero - aggiunge il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, mecenate e filantropo, storico Presidente della Fondazione Terzo Pilastro - risiede nell’aver adottato una cifra stilistica del tutto peculiare, unica e riconoscibilissima, a cui è rimasto sempre fedele, dilatando a dismisura i volumi di personaggi e oggetti in quella che vuole essere una celebrazione, anche ironica, dell’abbondanza e della positività. Alla base del suo universo espressivo, tuttavia, vi sono anche la maestria nel padroneggiare una grande varietà di tecniche e, soprattutto, l’attitudine a trarre spunto da alcuni dei più celebri artisti del passato per reinterpretarne i capolavori in maniera assolutamente personale, come ad esempio nel caso de La Fornarina di Raffaello o del Dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca. Questo a conferma dell’assunto, da me sempre sostenuto, che l’arte è un fluire ininterrotto, un dialogo costante tra i grandi di ieri e di oggi, e che non ha dunque senso racchiuderla in periodi rigidi ed impermeabili tra loro”.

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