Amministrative: l'unico vero vincitore lavora a palazzo Chigi

- di: Redazione
 
Non c'è stato certo bisogno di ricorrere alle quartine di Nostradamus per sapere che, a urne chiuse e a primi risultati acquisiti, nessuno avrebbe perso nelle elezioni amministrative di domenica e lunedì. Perché, anche quando è palese che tu non abbia vinto, puoi sempre almeno cercare di ridimensionare il successo dell'avversario. Oppure, elogiare i tuoi risultati anche se sono molto relativi rispetto a quelli dei tuoi antagonisti.
Così, ieri, Matteo Salvini, seppure ammettendo la sconfitta, ha glorificato il fatto che la Lega ha conquistato una cinquantina di Comuni, come se vincere in centri medi o piccoli sia lo stesso che mandare un proprio sindaco a guidare una metropoli.

Così, ieri, Giorgia Meloni - consigliando alla sinistra di aspettare, come è giusto, l'esito dei ballottaggi prima di brindare - ha chiosato che in fondo non è che a Roma Roberto Gualtieri abbia ottenuto questo gran successo, anche se l'esponente del Pd, in fin dei conti, ha circa 3 punti percentuali di distacco dal candidato della destra, Enrico Michetti. E si sa che i ballottaggi sono sempre un terno al lotto.
Quindi, se nessuno ha veramente perso o realmente vinto, chi è il vero vincitore?
Beh, un nome l'avremmo, ma non lo pronunciamo.

Possiamo solo dire che lavora da qualche mese a palazzo Chigi, cercando di aiutare il Paese, e che non vuole sentire parlare di andare al Quirinale se non per parlare con Mattarella. Un uomo che già ieri pomeriggio, convocando un consiglio dei ministri in materia di delega fiscale, ha fatto capire che è suonata la campanella per il rientro in classe dopo la ricreazione ''elettorale''.

Amministrative: l'unico vero vincitore delle elezioni è a palazzo Chigi

Comunque, tra primi bilanci, soddisfazione espressa e rabbia contenuta, una pagina politica è stata scritta in attesa che il secondo turno dia il quadro definitivo. Di elementi sui quali riflettere e interpretare ce ne sono parecchi, perché queste elezioni amministrative sono arrivate in un momento politicamente particolare, con alcune scadenze che si avvicinano (a partire da chi sarà chiamato a succedere a Sergio Mattarella) mentre i partiti vivono una stagione di grandi sommovimenti interni e nell'ambito delle coalizioni.
Il primo sguardo deve essere rivolto alla destra alle prese con una situazione che, paradossalmente, è conseguenza della sua forza, nel senso che, coscienti di avere la maggioranza nel Paese, né Salvini né Meloni sono disposti a concedere all'altro la palma del migliore. La Lega di problemi ne ha parecchi perché, ad esempio, su Milano aveva puntato tantissimo, forse pensando fosse facile tradurre in voti per il Comune il consenso derivato dall'essere alla guida della Regione. Così non è stato e il candidato ''civico'' Luca Bernardo - che comunque ci ha messo pure del suo - è stato staccato da Beppe Sala di 26 punti, un'enormità su cui ragionare.

E questo ragionamento deve probabilmente passare dal messaggio politico di cui Salvini s'è fatto portatore e che non sempre è facile recepire in momenti in cui non ci sono emergenze. L'analisi del linguaggio politico insegna che, una volta raggiunta la vetta dei consensi, bisogna riempire i propri messaggi di contenuti che siano comprensibili perché condivisi. Ed è forse in questo che Matteo Salvini ha sopravvalutato il suo essere ''animale politico'' che, dopo averlo segnato, ora deve difendere il suo territorio non potendo più ampliarlo. La sconfitta della destra sembra non avere toccato Giorgia Meloni, che guarda agli altri e non al suo partito, del cui esito elettorale dice d'essere soddisfatta. Sarà anche così, ma sperare oggi nei ballottaggi per agguantare un pareggio nella guida delle grandi città non è che possa essere una grande soddisfazione. Perché se per salire sul carro dei vincitori c'è sempre la fila, su quello di coloro che hanno l'onestà mentale di ammettere la sconfitta c'è sempre poca gente.

Il caso di Enrico Michetti è paradigmatico perché lui era ''il candidato'' di Meloni e non solo perché Roma è diventata il caposaldo di Fratelli d'Italia. Ma anche perché la capitale è la città di Giorgia Meloni che, da lì, vuole partire per conquistare tutto. Sperare oggi che chi ha votato Calenda abbia il cuore a destra è legittimo. Scommetterci su, forse no. Resta comunque la soddisfazione, nemmeno tanto celata, d'essere riuscita a mettere parecchi punti percentuali tra il risultato di Fratelli d'Italia e quello della Lega, uscita sempre sconfitta dal confronto. Ad eccezione di Milano dove il partito di Salvini (con il 10 per cento) non può certo gioire. In casa Pd la soddisfazione è evidente e non solo per le vittorie di candidati che ritiene di sua espressione. Una soddisfazione giustificata perché le ultime vicende del partito - alle prese con fibrillazioni interne, anche dopo l'arrivo alla segreteria di Enrico Letta - lasciavano temere ripercussioni nel voto. Ed invece è andata bene, forse non meglio del previsto, comunque bene, perché il 3 a 0 delle grandi città è un buon punto di partenza per il futuro.

Infine i Cinque Stelle, sconfitti ovunque, spesso giustamente, per come hanno amministrato, ma sicuramente per le loro scelte politiche. L'immagine chiarificatrice sta tutta nel volto tirato con cui Virginia Raggi si è presentata davanti ai giornalisti per leggere due paginette, scritte con il pennino intinto nel curaro, in cui si è solo difesa, ma non ha mai avuto quel briciolo di consapevolezza che le avrebbe consentito di ammettere se non tutti, almeno solo una parte infinitesimale dei tanti errori che ha fatto. Il sorriso a labbra tirate che ha mostrato ha detto tanto di chi ha perso un'occasione enorme per proprie colpe e non per le accuse che le sono mosse. Se avesse pensato di più a quello che aveva promesso e letto di meno i peana che le riservava qualche giornalista amico, Virginia Raggi forse non avrebbe evitato la sconfitta, ma almeno si sarebbe risparmiata la figura da suffragetta del buon governo che si è ritagliata addosso e che solo i suoi (già, ma chi sono i ''suoi''?) le riconoscono.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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