Una svolta che non si limita ai confini italiani. La gestione dei flussi migratori torna al centro dell’agenda politica, e questa volta lo fa con un’estensione strategica oltre l’Adriatico. A rilanciare il tema è il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che in un’intervista a La Stampa apre alla possibilità di trasformare i centri in Albania – quelli di Gjader e Shengjin – in veri e propri Cpr, Centri per i rimpatri. Un’evoluzione importante, che segna un potenziale cambio di passo nella politica migratoria del governo Meloni.
Albania, Piantedosi apre alla trasformazione dei centri in Cpr
“Sono strutture che possono contribuire al rafforzamento del sistema di rimpatrio dei migranti irregolari, quelli che non hanno diritto a rimanere sul territorio italiano”, spiega il titolare del Viminale, delineando uno scenario in cui la cooperazione internazionale diventa leva per alleggerire la pressione interna.
Il modello oltre confine e i costi già sostenuti
Il progetto – presentato inizialmente come un piano per esternalizzare la gestione dei migranti soccorsi in mare – ha già richiesto un investimento di oltre 30 milioni di euro tra logistica, costruzione delle strutture e predisposizione del personale. Fondi erogati interamente dallo Stato italiano, nonostante le strutture si trovino in territorio albanese. A questi si aggiungeranno ulteriori risorse per la messa a regime entro la fine di maggio. Un impegno finanziario che ha già scatenato i primi malumori, anche all'interno della maggioranza, dove c’è chi inizia a chiedersi se i fondi impiegati all’estero non potessero essere investiti nel potenziamento dei Cpr italiani, spesso al collasso.
Magistratura e polemiche: il nodo giurisdizionale
Ma a far discutere è soprattutto il fronte giuridico e costituzionale. Se da un lato Piantedosi assicura che “le procedure che si svolgeranno nei centri albanesi saranno sotto l’egida della magistratura italiana”, dall’altro lato proprio alcuni giudici e procuratori hanno sollevato dubbi sulla legittimità di esercitare poteri coercitivi – come il trattenimento – fuori dal territorio nazionale, senza una base giuridica chiarissima.
Una tensione che si è tradotta in un vero e proprio braccio di ferro tra il Viminale e alcune procure, che temono si possa creare una zona grigia sul piano delle garanzie legali. Le Camere penali parlano apertamente di “una forzatura dello Stato di diritto”, mentre il Consiglio Superiore della Magistratura ha già chiesto approfondimenti, preoccupato per una gestione che potrebbe sfuggire ai controlli della giurisdizione ordinaria.
“Garantiremo assistenza legale, interpreti, accesso alle procedure d’asilo – ribadisce il ministro – ma dobbiamo anche essere rapidi ed efficaci nel rimpatrio di chi non ha diritto a restare”.
Le reazioni politiche
Sul fronte politico, la mossa è destinata a riaccendere il dibattito. Per il centrodestra si tratta di un “modello innovativo” che finalmente mette ordine al caos migratorio. La Lega, che da tempo spinge per il potenziamento dei Cpr, applaude. Fratelli d’Italia rivendica l’idea come coerente con il programma di governo.
Dall’altra parte, Pd e M5S attaccano duramente: “Si spendono milioni per esternalizzare la gestione dei migranti in Albania, mentre i comuni italiani faticano ad affrontare l’accoglienza – dichiara il senatore dem Francesco Verducci – e tutto questo senza certezze sul rispetto dei diritti”. Anche Amnesty International e numerose ong chiedono massima trasparenza e accesso alle strutture.
Un esperimento che fa scuola?
Secondo le stime del ministero dell’Interno, i due centri potranno accogliere fino a 3.000 persone al mese, con una permanenza temporanea e finalizzata all’identificazione e al rimpatrio. Ma la vera posta in gioco è politica: il governo scommette su una nuova forma di controllo migratorio, capace di diventare modello per altri Paesi Ue.
Bruxelles osserva con attenzione. E mentre Piantedosi rilancia – “Lavoriamo anche con altri Paesi terzi” – la sfida sarà coniugare controllo, velocità ed efficacia con le garanzie costituzionali che restano il cardine del nostro ordinamento. Una partita delicata, che comincia sulle sponde dell’Adriatico, ma potrebbe ridisegnare la geopolitica dell’accoglienza in Europa.