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La Corte di Giustizia Europea dà ragione all'Italia, Airbnb deve agire da sostituto d'imposta: soddisfazione di Federalberghi

- di: Barbara Bizzarri
 
La Corte di Giustizia Europea dà ragione all'Italia, Airbnb deve agire da sostituto d'imposta: soddisfazione di Federalberghi
La sentenza della Corte di Giustizia Europea, pronunciata a conclusione della vertenza iniziata nel 2017 è chiara: Airbnb, nota piattaforma statunitense che mette in contatto affittuari e persone in cerca di un alloggio per brevi periodi, deve riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi. La Corte ha dato parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per le locazioni brevi: la legge può chiedere di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate, e soprattutto di applicare la ritenuta d'imposta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale. Il tribunale ha dato ragione ad Airbnb, invece, sulla parte relativa all'obbligo di designare un rappresentante fiscale, giudicato "una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi". 

La Corte di Giustizia Europea dà ragione all'Italia, Airbnb deve agire da sostituto d'imposta

Secondo quanto dichiarato dallo stesso Airbnb in tribunale, le somme da versare annualmente in Italia, rapportate ai ricavi del 2016, sarebbero state pari a circa 130 milioni di euro. Considerando che nel frattempo il numero di annunci pubblicato sul portale è cresciuto a dismisura, si può stimare che nei sei anni di (mancata) applicazione dell’imposta Airbnb abbia riscosso circa 7,5 miliardi di euro e abbia omesso di trattenere e versare al fisco italiano oltre 1,5 miliardi di euro, senza dimenticare che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli intermediari sono sanzionabili per le omesse o incomplete ritenute da effettuare a partire dal 12 settembre 2017. Le sanzioni applicabili possono arrivare al 140% delle ritenute non effettuate, di cui il 20% per non aver effettuato la ritenuta e il 120% per omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta. La legge stabiliva infatti che, a partire dal primo giugno 2017, i redditi derivanti da contratti di locazione non commerciali non superiori a 30 giorni fossero soggetti a una ritenuta del 21% dovuta all'erario, qualora i proprietari interessati abbiano optato per tale aliquota preferenziale, e i dati relativi ai contratti di locazione dovessero essere trasmessi all'amministrazione fiscale. Quando si incassano i canoni o si svolge un ruolo nella loro riscossione, i soggetti che svolgono attività di intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d'imposta, la ritenuta sull'ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all'Erario. I soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia hanno l'obbligo di nominare, in qualità di responsabili d'imposta, un rappresentante fiscale. 

Nella sentenza, la Corte ha constatato che i tre obblighi introdotti nel diritto italiano nel 2017 rientrano nel settore fiscale e sono, di conseguenza, esclusi dall'ambito di applicazione di talune direttive fatte valere da Airbnb; quindi si è dedicata all'esame della legittimità delle tre misure unicamente alla luce del divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'UE. L'obbligo di ritenuta dell'imposta alla fonte s'impone, secondo i giudici, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall'Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che l’obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l'esercizio della libera prestazione dei servizi. Rispetto alla parte della sentenza in cui il tribunale ha dato invece ragione ad Airbnb, ovvero sull'obbligo di designare un rappresentante fiscale, il fatto che l'amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad  essa trasmesse relative ai contribuenti, segnala la Corte, è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell'obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

Airbnb di rimando ha fatto sapere, tramite un rappresentante aziendale, che "ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L'azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d'imposta. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha chiarito che l'obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva UE in materia".

Nel frattempo, grande soddisfazione in merito alla sentenza è stata espressa da Federalberghi: La Federazione è intervenuta nel giudizio al fianco dell'Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell'interesse di tutti gli operatori, perché l'evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza – sottolinea Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi – La sentenza odierna segna un punto importante, ma resta del percorso da compiere. I prossimi passi toccano al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi recependo la sentenza europea, per consentire poi all’Agenzia delle Entrate di recuperare le imposte non pagate durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni. In parallelo, chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere ordine nella giungla degli appartamenti ad uso turistico, che si nascondono dietro la foglia di fico della locazione, ma in realtà operano a tutti gli effetti come strutture ricettive e quindi devono essere soggetti alle medesime regole di base previste per alberghi, affittacamere e bed and breakfast".

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