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Voglio essere Tiberio Timperi

- di: Barbara Bizzarri
 
Vorrei essere Tiberio Timperi, sentirmi così incredibilmente super partes e felicemente bullonato al mio posto, tanto da non pormi il minimo problema a rendere difficoltoso il lavoro di un collega. Vorrei avere l’autostima granitica di chi sa e si sente qualcuno senza aver dovuto dimostrare mai nulla e riservare una parvenza di umiltà soltanto alle interviste, magari definendomi un onesto artigiano della tv: sono tutti artigiani, soprattutto quelli che ignorano il mazzo che si fanno gli artigiani veri e spesso per pochi soldi. Vorrei essere come lui, con la sufficienza e la sicurezza dovuta a una bellezza che ancora balugina fra le sopracciglia incolte, che fanno tanto maschio alpha. Vorrei avere le stesse certezze nel dire a un collega che abbandona lo studio dopo anni di vessazioni, ‘vai, vai (sottotitolo: e a mai più rivederci)’. Vorrei avere la sicurezza calda delle spalle coperte, lo sguardo di chi non ha nulla da temere, protetto dalla culla alla tomba con echi di coheniana memoria, sempre quella, proprio di lui, che aveva descritto tanto bene le babbuinerie della specie umana. Voglio essere Tiberio Timperi, felicemente assiso su un sedile di marmo a prova di share e di nomine, che dispensa sorrisi e insulti con la serenità di chi, senza pagarne il fio, può disprezzare innocentemente come Stendhal e meglio di Rousseau, perché il disprezzo ha due direzioni che si riconoscono fin troppo bene: ben poca cosa è il disprezzo che viene dal basso, ma quanto pesa quello proveniente dall’alto (tanto che c’è chi interrompe il suo lavoro e  lascia lo studio televisivo a grandi passi).

Voglio sbuffare a tutto ciò che mi annoia, ovvero quanto non si riferisca alla mia riverita persona, voglio essere gentile soltanto con chi può essermi utile, oppure con chi è nelle grazie delle alte sfere, e tutto il resto non conta. Voglio esserci, sempre di più e fortissimamente, a scapito di chiunque, voglio il potere di far fallire le feste, soprattutto quelle altrui e se mi mettono in ombra, sentendomi un epigono della Grande Bellezza, in senso metaforico e lato. Voglio essere Tiberio Timperi, volgere gli occhi in alto come un martire quando ascolto notizie che non mi interessano o che riguardano i miei amichetti di cui non si deve parlare, farmi massaggiare le spalle dai colleghi umiliati e offesi e conservare comunque il diritto di trattarli con sufficienza, senza doverne dare conto a nessuno, magari permettendomi qualche frase minacciosa dal vago sapore omertoso, come "parliamo dopo, facciamo i conti dopo". Vorrei essere Tiberio Timperi, con un agente che si precipita a difendermi nonostante si sentano gli scricchiolii degli specchi su cui si arrampica per la sua arringa difensiva in favore della mia maleducazione, che non esito a sbattere in faccia a chiunque, perché ne ho l’agio e il diritto, e perché l’aurea mediocritas è tanto più rassicurante quanto più se ne rappresenta l’essenza.

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