Visco al 29° Congresso ASSIOM FOREX promuove l'economia e le banche, la Bce proceda con equilibrio

- di: Barbara Leone
 
Un discorso a tutto tondo, che ha toccato i temi caldi dell’economia mondiale con un occhio di riguardo alla situazione italiana. Nel suo primo intervento del 2023, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco lancia segnali di ottimismo nonostante il complesso momento storico che stiamo vivendo caratterizzato affanni e tensioni che sicuramente si trascineranno ancora a lungo. Dal palcoscenico milanese del 29esimo Congresso Assiom Forex, l’inquilino di Palazzo Koch ha difatti sottolineato che “l’economia globale è in rallentamento; l’incertezza resta molto elevata anche se gli indicatori più recenti sono migliori delle attese. Nonostante la prevista ripresa della Cina, secondo le ultime proiezioni del Fondo monetario internazionale il tasso di espansione del prodotto mondiale dovrebbe collocarsi quest’anno al 2,9 per cento, dal 3,4 del 2022; per il commercio si scenderebbe dal 5,4 al 2,4 per cento. L’indebolimento del quadro congiunturale internazionale riflette prevalentemente - ha proseguito Visco - le conseguenze dell’aggressione della Russia all’Ucraina e le connesse tensioni geopolitiche. L’inflazione, sospinta dagli eccezionali rialzi dei prezzi delle materie prime energetiche e alimentari, resta alta a livello globale. Ciò continua, da un lato, a ridurre il potere d’acquisto delle retribuzioni e il valore in termini reali dei risparmi accumulati dalle famiglie, dall’altro, a richiedere un’intonazione più restrittiva delle politiche monetarie. Il raggiungimento degli obiettivi di stoccaggio di gas naturale da parte dei paesi europei, il clima più mite e il calo della domanda hanno favorito negli ultimi mesi un ampio riassorbimento dei rincari delle materie prime energetiche”. Per quanto riguarda il nostro Paese il governatore della Banca d’Italia ha ricordato che “anche le economie dell’Italia e dell’area dell’euro sono in decelerazione, dopo risultati largamente migliori del previsto nell’intero 2022.

La crescita del prodotto ha sfiorato da noi il 4 per cento, quasi mezzo punto di più che nella media dell’area dell’euro. La ripresa dei servizi, particolarmente intensa soprattutto nell’estate, ha più che compensato il calo registrato nella seconda metà dell’anno dalla produzione agricola e industriale. Nello scenario di base presentato nel Bollettino economico di gennaio, che ha un carattere necessariamente indicativo dato il permanere di condizioni geopolitiche altamente incerte, dopo la diminuzione dello 0,1 per cento registrata nel quarto trimestre del 2022 la crescita dell’economia si ridurrebbe quest’anno allo 0,6 per cento; tornerebbe a rafforzarsi nel prossimo biennio per l’accelerazione delle esportazioni e, grazie alla diminuzione delle pressioni inflazionistiche, della domanda interna. L’inflazione, pari all’8,7 per cento nella media del 2022 su base armonizzata, scenderebbe di due punti nell’anno in corso e più decisamente nel prossimo, portandosi al 2 per cento nel 2025. Secondo stime preliminari - ha aggiunto - il prodotto nell’area dell’euro sarebbe marginalmente salito lo scorso trimestre, in un contesto di variazioni fortemente eterogenee tra paesi. Nello scenario di base formulato in dicembre dagli esperti dell’Eurosistema, l’espansione del PIL era contenuta entro lo 0,5 per cento nel 2023, per tornare ad avvicinarsi al 2 il prossimo anno. Riflettendo l’ipotesi, in parte superata, del permanere di forti pressioni derivanti dai rincari delle materie prime energetiche e dei beni intermedi, oltre che di sensibili incrementi salariali, dopo l’8,4 per l’intero 2022 il rallentamento dell’inflazione era previsto debole e incerto: l’aumento dei prezzi avrebbe oltrepassato il 6 per cento quest’anno e si sarebbe mantenuto ben oltre il 3 nel 2024. I segnali di contenimento della dinamica inflazionistica registrati negli ultimi mesi dell’anno passato si sono però confermati in gennaio - ha ricordato Visco -; dal picco del 10,6 per cento toccato in ottobre l’inflazione è scesa, secondo stime preliminari, all’8,5, anche se la componente di fondo (al netto, cioè, dei beni energetici e alimentari) si è consolidata, al 5,2 per cento, per il consueto ritardo nella trasmissione della dinamica dei prezzi dell’energia. Il prezzo del gas consegnato in Europa, che nelle ipotesi tecniche incorporate nelle proiezioni dell’Eurosistema era stato fissato a 124 euro per megawattora nella media del 2023 e a 98 nel 2024, ha proseguito la discesa iniziata alla fine di agosto, attestandosi al di sotto di 60 euro. Anche le strozzature nell’offerta di prodotti intermedi si sono nettamente attenuate. Date queste più recenti dinamiche, le aspettative d’inflazione a breve termine sono in forte calo sui mercati finanziari. I rendimenti dei contratti derivati (inflation‑linked swaps) indicano che il tasso d’inflazione atteso fra dodici mesi è pari al 2,3 per cento, meno della metà dei livelli di fine novembre, quando le proiezioni dell’Eurosistema erano state appena finalizzate. Le attese sugli orizzonti più distanti restano, al netto dei premi per il rischio, su valori coerenti con l’obiettivo di stabilità dei prezzi, pari al 2 per cento nel medio termine.

L’ancoraggio delle aspettative d’inflazione è peraltro confermato dai risultati dei sondaggi condotti in gennaio presso gli analisti. Una flessione si registra anche per le attese d’inflazione di imprese e famiglie”. Passando alla politica monetaria europea Visco ha ricordato che “l’altro ieri il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha innalzato i tassi ufficiali di 50 punti base, portando il loro incremento complessivo a 300 punti. Ha inoltre confermato che essi dovranno continuare a salire per favorire il ritorno dell’inflazione all’obiettivo di stabilità dei prezzi nel medio periodo, annunciando l’intenzione di aumentarli ancora di 50 punti in marzo. In ogni caso il ritmo di eventuali successivi rialzi continuerà a essere valutato alla luce delle prospettive d’inflazione definite sulla base delle informazioni che si renderanno via via disponibili”. Ma secondo Visco “la svolta nell’orientamento della politica monetaria avviata dal dicembre 2021 è stata indispensabile. Il Consiglio aveva risposto con misure straordinariamente espansive sia alle pressioni deflazionistiche dovute alla crisi finanziaria globale e a quella dei debiti sovrani dell’area dell’euro, sia ai rischi connessi con la pandemia. Con il venir meno di questi fattori, il ritorno a valori più equilibrati dei tassi ufficiali e della liquidità era inevitabile. Dalla fine del 2021 i rincari dell’energia, in precedenza graduali, si sono accentuati e protratti nel tempo a causa dell’invasione russa dell’Ucraina; si è quindi reso necessario accelerare la normalizzazione della politica monetaria, ma essa non era certo inattesa. Al riguardo - ha ricordato - sono stati compiuti importanti passi in avanti. Dall’avvio della fase di progressiva riduzione dell’accomodamento monetario i tassi di interesse a un anno sono saliti da livelli negativi al 3,3 per cento; quelli a dieci anni da valori appena positivi al 2,6. In termini reali, utilizzando come deflatore i rendimenti dei contratti legati all’inflazione, essi sono oggi rispettivamente pari a circa lo 0,9 e lo 0,3 per cento, dai valori negativi, di circa il 4 e il 2 per cento, di fine 2021. L’azione restrittiva può ora proseguire con la giusta cautela, valutando con attenzione le implicazioni per l’economia e le prospettive d’inflazione delle misure già adottate e delle osservazioni relative all’evoluzione delle loro determinanti. Resta in ogni caso essenziale - ha sottolineato il governatore Visco - continuare a bilanciare il rischio di una ricalibrazione troppo graduale, che potrebbe far radicare l’inflazione nelle aspettative e nei processi di fissazione dei salari, con quello di un inasprimento eccessivo delle condizioni monetarie, che comporterebbe gravi ripercussioni per l’attività economica, la stabilità finanziaria e, in ultima analisi, la stessa dinamica dei prezzi nel medio termine. Come ho già sostenuto di recente, reputo che a questi due rischi occorra assegnare analogo peso, in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi simmetrico che dobbiamo conseguire per rispettare il nostro mandato. Ma la stabilità dei prezzi non dipende dalla sola azione della politica monetaria, vi contribuiscono anche le strategie delle imprese, gli accordi sul costo del lavoro e la politica di bilancio. Per riportare l’inflazione all’obiettivo è fondamentale che in tutte le economie dell’area dell’euro le parti sociali adottino decisioni responsabili, volte a garantire che la dinamica di prezzi e salari resti coerente con il mantenimento della stabilità monetaria. In termini reali la crescita delle retribuzioni trova il suo limite nell’evoluzione della produttività. Nel nostro Paese, in particolare, dove sia la produttività sia i salari in termini reali ristagnano ormai da troppo tempo, giocheranno un ruolo fondamentale, nel creare condizioni più favorevoli all’attività delle imprese, gli investimenti e le riforme previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. La stabilità dei prezzi - ha aggiunto - richiede inoltre che in tutti i Paesi i conti pubblici siano tenuti sotto controllo. Politiche equilibrate sono necessarie non solo per evitare un surriscaldamento della domanda e un più lento rientro dell’inflazione, ma anche per prevenire i rischi connessi con percezioni negative, anche se non interamente condivisibili, sulla   sostenibilità   delle   finanze   pubbliche.

Le politiche di bilancio possono certamente contribuire, con interventi temporanei e mirati, ad alleviare gli effetti dell’inflazione sulle fasce più deboli della popolazione, ma ciò dovrebbe avvenire attraverso una redistribuzione tra percettori di reddito, tanto da lavoro quanto da capitale, e senza ricadute sulle future generazioni. Un’azione prudente della politica di bilancio ha contribuito, nel nostro Paese, alla riduzione del differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato decennali della Germania, attualmente inferiore a 190 punti base, valore che resta tuttavia ben al di sopra di quello che sarebbe giustificato dai fondamentali e circa il doppio rispetto a paesi come Spagna e Portogallo”. In questo scenario sono inevitabili una serie di ripercussioni sulle imprese e le famiglie italiane. Anche se, ha ricordato Visco, “l’indebitamento delle imprese e delle famiglie italiane rimane basso nel confronto internazionale, nonostante il significativo ricorso delle aziende ai finanziamenti garantiti dopo lo scoppio dell’emergenza sanitaria e la sostenuta dinamica dei mutui osservata negli ultimi anni. In rapporto al PIL, esso è complessivamente pari al 112 per cento, a fronte di un valore medio del 168 per cento per l’area dell’euro. La stabilità finanziaria della nostra economia beneficia altresì del miglioramento della struttura finanziaria delle imprese, iniziato nei primi anni dello scorso decennio e solo temporaneamente interrotto dalla crisi pandemica”. Va da sé che la situazione delle imprese risenta “inevitabilmente dei rincari energetici, del rallentamento dell’attività economica, dell’incremento dei tassi di interesse e di meno favorevoli condizioni di accesso al credito - ha detto l’inquilino di Palazzo Koch -. La capacità di rimborso dei debiti resta tuttavia alta: al recupero della redditività e alla riduzione della leva finanziaria si aggiungono condizioni di liquidità complessivamente distese. Durante la pandemia sono infatti notevolmente cresciuti i depositi detenuti presso il sistema bancario, rafforzando una tendenza in atto da tempo. Il livello storicamente elevato di disponibilità liquide, pari al 28 per cento del PIL, e la ridotta incidenza degli oneri finanziari sulla redditività operativa, che si attesta al 6,4 per cento, appaiono in grado di limitare l’impatto delle restrizioni sul credito. Per quanto soggette a elevati margini di incertezza, le analisi di scenario condotte in Banca d’Italia indicano che la vulnerabilità del settore rimarrebbe nel complesso limitata a meno di un deterioramento delle condizioni economiche e del costo del debito di gran lunga superiore alle attese. Anche in uno scenario avverso, caratterizzato da una significativa riduzione del margine operativo lordo e da un rilevante aumento dei costi di finanziamento, la quota di debito facente capo a imprese particolarmente vulnerabili resterebbe su valori ben inferiori a quelli raggiunti durante precedenti gravi episodi di crisi. A livello aggregato non sono comunque emersi finora significativi segnali di deterioramento della qualità dei prestiti. Anche i rischi che derivano dalla situazione finanziaria delle famiglie, che pure risente del peggioramento delle prospettive economiche, si mantengono nel complesso circoscritti. Nell’ultimo decennio il debito è rimasto sostanzialmente stabile, poco sopra il 40 per cento del PIL. L’incremento dell’incidenza dei mutui negli anni passati ha riguardato in particolare quelli a tasso fisso; nel corso del 2022 sono invece andati aumentando quelli a tasso variabile, fino a rappresentare, per l’accresciuta onerosità dei finanziamenti a tasso fisso, la maggioranza delle nuove erogazioni, anche se nel contempo è cresciuta la quota dei mutui con un massimale al tasso applicabile, una tendenza che contribuisce ad attenuare l’impatto dei rialzi dei tassi. Come per le imprese - ha sottolineato Visco -, anche per le famiglie un ulteriore fattore di attenuazione dei rischi è rappresentato dall’ampia disponibilità di attività liquide: lo scorso settembre i depositi e il circolante superavano 1.600 miliardi di euro, un livello elevato nel confronto storico, anche quando valutato in termini reali, e pari a più di un terzo del totale degli attivi finanziari del settore. In prospettiva, nonostante l’erosione connessa con l’aumento dell’inflazione, le risorse accumulate appaiono in grado di sostenere la capacità delle famiglie di onorare gli impegni finanziari anche in uno scenario avverso caratterizzato da riduzioni del reddito reale e incrementi dei tassi di interesse significativamente più elevati di quelli attesi. Fin quando le politiche di bilancio rimarranno improntate alla cautela, dovrebbe restare contenuto il pericolo di un aumento degli spread e dei suoi effetti negativi, oltre che sui conti pubblici, sull’economia reale. I rialzi dei tassi ufficiali dovrebbero pertanto porre rischi nel complesso gestibili anche per le finanze private. In questa prospettiva rimane quindi cruciale mirare, in un contesto di stabilità dei prezzi, a un durevole percorso di crescita alimentato dalle riforme e dagli investimenti pubblici e privati”.

Il governatore si è poi soffermato sul settore bancario. “Nonostante il rallentamento ciclico - ha detto -, i principali indicatori dello stato di salute   del   sistema   bancario   italiano   restano   nel   complesso   positivi. La qualità del credito si mantiene buona: lo scorso settembre l’incidenza dei prestiti deteriorati al netto delle rettifiche di valore era pari all’1,5 per cento; per le banche significative essa è sostanzialmente in linea, all’1,2 per cento, con quella media dei paesi che aderiscono all’Unione bancaria. Resta basso, intorno all’uno per cento dei finanziamenti, il flusso di nuovi prestiti deteriorati. I margini di liquidità si sono lievemente ridotti a seguito dei primi rimborsi delle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine ma rimangono ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari. La redditività è sostenuta dalla crescita del margine di interesse e da rettifiche di valore su prestiti ancora particolarmente contenute. Nei primi nove mesi del 2022 il rendimento del capitale e delle riserve è aumentato di 7 decimi di punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2021, all’8,7 per cento. Il coefficiente di patrimonializzazione relativo al capitale di migliore qualità, diminuito di circa mezzo punto percentuale, al 14,6 per cento, si mantiene più elevato dei valori registrati prima della pandemia ed è solo marginalmente inferiore a quello medio dei paesi dell’Unione europea. Il calo più accentuato per le banche significative riflette principalmente le distribuzioni straordinarie di utili effettuate dai maggiori intermediari. In presenza di un più rapido rialzo dei tassi attivi, l’aumento dei rendimenti di mercato favorisce le banche con operatività tradizionale, che gli scorsi anni avevano visto la loro redditività compressa dai bassi margini di interesse. Nel 2022 il differenziale tra i tassi applicati dalle banche ai nuovi prestiti a famiglie e imprese e il costo marginale della raccolta si è ampliato di quasi un punto percentuale, al 2,2 per cento. Insieme con la crescita dei finanziamenti ciò ha contribuito all’aumento significativo, di quasi il 12 per cento, del margine di interesse nei primi tre trimestri del 2022. Sulla base delle regolarità storiche, i ricavi derivanti dall’attività di intermediazione tradizionale dovrebbero continuare a crescere anche nei prossimi anni”. Sicuramente, ha evidenziato Visco, “l’inflazione abbatte il valore reale del debito, riducendo la probabilità di insolvenza dei prenditori indebitati a tasso fisso e i cui ricavi non soffrono in misura significativa per l’aumento dei prezzi. Una parte preponderante dei debiti delle imprese, tuttavia, è a tasso variabile e alcuni settori sono particolarmente esposti ai rincari dell’energia. In prospettiva, quindi, non va escluso un incremento anche significativo delle rettifiche su crediti; secondo analisi coerenti con lo scenario macroeconomico di base elaborato in Banca d’Italia, esse potrebbero salire, in rapporto al totale dei finanziamenti, da meno di mezzo punto percentuale a quasi un punto quest’anno e nel 2024, ancora la metà rispetto al picco toccato nel biennio 2013-14 a seguito della crisi dei debiti sovrani, un livello superiore anche a quello che si realizzerebbe in uno scenario avverso. Quest’anno e il prossimo la redditività bancaria dovrebbe comunque rimanere positiva per il complesso degli intermediari, anche se potrebbe crescere il numero di quelli che registreranno perdite, che seguiremo con particolare attenzione. Queste indicazioni sono coerenti con le attese formulate nel mercato. Dalla scorsa estate, in concomitanza con l’avvio della fase di aumento dei tassi da parte della Bce, i principali analisti hanno rivisto al rialzo le aspettative di redditività a un anno per i maggiori otto gruppi bancari italiani quotati. Secondo i dati più recenti, per quest’anno e per il 2024 viene previsto un Roe in media vicino all’8 per cento; tre gruppi registrerebbero una redditività prossima o superiore al 9 per cento, nessuno dovrebbe chiudere l’esercizio in perdita. Oltre all’effetto sui conti economici - ha ricordato -, il rialzo dei tassi di interesse ha anche un effetto diretto sul patrimonio di vigilanza degli intermediari, riflesso del calo dei corsi dei titoli obbligazionari, sovrani e non, valutati ai prezzi di mercato. Un aumento parallelo di 150 punti base della curva dei rendimenti dai livelli di fine anno porterebbe a una diminuzione del CET1 ratio di circa 80 punti base. Considerando che questa stima non incorpora le strategie di mitigazione del rischio eventualmente predisposte dagli intermediari per mezzo, ad esempio, di derivati di copertura, l’impatto sui coefficienti patrimoniali risulterebbe pertanto gestibile.

La crescita del margine di interesse potrebbe essere inferiore alle attese qualora la trasmissione dell’aumento dei tassi di mercato a quelli relativi alle passività delle banche fosse più rapida rispetto al passato. Il costo della raccolta potrebbe inoltre risentire della ricomposizione della provvista a favore di strumenti relativamente più onerosi, come i depositi a termine o le obbligazioni. Già dalla scorsa estate i depositi a vista di famiglie e imprese hanno iniziato a diminuire, coerentemente con il tentativo dei depositanti di salvaguardare il potere di acquisto dei propri risparmi, anche se non si è ancora assistito a un significativo rialzo dei rendimenti offerti dalle banche su questa forma di provvista. La ricomposizione del passivo degli intermediari potrà altresì essere influenzata dalla necessità di emettere nuove obbligazioni per sostituire, almeno parzialmente, la provvista effettuata in passato attraverso le operazioni di rifinanziamento a lungo termine dell’Eurosistema e per rispettare i requisiti minimi per i fondi propri e le passività ammissibili. Infine, se la congiuntura dovesse rivelarsi più sfavorevole di quanto previsto, la qualità dei prestiti ne risentirebbe, determinando una maggiore incidenza delle perdite su crediti”. Sul fronte dei fondi comuni e dei mercati il governatore Visco ha ricordato che “nel comparto della gestione del risparmio il rilevante aggiustamento dei prezzi delle attività finanziarie avvenuto a seguito dello scoppio della guerra e del rialzo dei tassi di interesse, pur riducendo la redditività dei fondi comuni italiani, è stato assorbito in modo ordinato senza dar luogo a forti disinvestimenti. La raccolta netta si è mantenuta stabile, mentre nel resto dell’Europa è diminuita. Coerentemente con il rialzo dei tassi di interesse si sono registrati deflussi dal comparto dei fondi obbligazionari, compensati da un aumento degli investimenti in quelli azionari. Le prospettive della raccolta, e quindi anche quelle dell’andamento delle commissioni che le banche percepiscono a fronte della distribuzione di prodotti d’investimento, sono incerte. Da un lato, l’attività dei fondi comuni potrebbe essere stimolata dalla ricerca da parte dei risparmiatori di rendimenti più elevati, per compensare almeno in parte l’effetto dell’inflazione. Dall’altro, il perdurare del rischio di ulteriori repentini aggiustamenti dei prezzi delle attività finanziarie induce a investire in strumenti più sicuri che, viste le mutate condizioni di mercato, offrono comunque rendimenti soddisfacenti. Ai già citati deflussi di depositi bancari si sono quindi accompagnati ingenti investimenti in titoli di Stato da parte delle famiglie.

L’aumento dei tassi e il rallentamento ciclico accrescono anche per questi intermediari i rischi di liquidità, di mercato e di credito. I fondi aperti italiani sono tuttavia in generale nelle condizioni di poterli fronteggiare. La leva finanziaria è bassa, le attività gestite sono caratterizzate da una durata contenuta e il grado di liquidità (definito dal rapporto tra le giacenze di conto corrente e il patrimonio netto) è elevato nel confronto storico. Negli ultimi mesi si è anche ridotta la quota di obbligazioni “high yield”, più vulnerabili rispetto a quelle con maggiore merito di credito. Nel comparto del risparmio gestito gli aspetti relativi al governo societario hanno particolare rilevanza per la sana e prudente gestione. Per questo motivo, nello Srep che stiamo conducendo sulle società di gestione del risparmio poniamo speciale enfasi su questi profili. Ulteriori affinamenti metodologici verranno sviluppati per il prossimo anno al fine di valutare meglio i rischi derivanti dall’esternalizzazione di funzioni critiche e dall’innovazione tecnologica. Le attività dei fondi alternativi, che investono in beni immobili, società non quotate o crediti, hanno continuato ad aumentare; superando i 100 miliardi di euro esse rappresentano oggi quasi un terzo del totale dei fondi comuni italiani. La crescita del comparto può consentire alle imprese di ampliare le fonti di finanziamento e agli investitori di differenziare i portafogli. I fondi alternativi, grazie alla normativa nazionale particolarmente stringente, sono tipicamente chiusi, aspetto che contribuisce ad attenuare i rischi di liquidità; sono tuttavia caratterizzati da una maggiore leva finanziaria, che ne amplifica il grado di interconnessione con il resto del sistema. I fondi immobiliari, in particolare, hanno un indebitamento relativamente elevato, prevalentemente nei confronti delle banche, caratteristica che li rende più di altri una potenziale fonte di contagio. Anche alla luce della forte crescita delle attività gestite da questi fondi, guidata da quelli che investono in immobili commerciali, stiamo avviando approfondimenti specifici, i cui risultati consentiranno di valutare meglio i rischi per la stabilità dei singoli intermediari e per il sistema nel suo complesso. Sicuramente, ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia, “l’incertezza che caratterizza ormai da tempo gli sviluppi geopolitici ed economici a livello globale si è riflessa sui mercati finanziari, che hanno segnato forti perdite. In Europa le tensioni risentono anche dello spessore relativamente contenuto di alcuni segmenti di mercato, soprattutto nel confronto con quelli statunitensi, nonché di una ancora elevata frammentazione lungo i confini nazionali, in particolare nel caso delle attività al dettaglio. Le proposte legislative in materia di diritto fallimentare delle imprese, di quotazione sui mercati regolamentati e di riduzione della dipendenza da controparti centrali di paesi terzi per l’attività di clearing, presentate dalla Commissione europea alla fine dello scorso anno nell’ambito delle iniziative per l’unione del mercato dei capitali, sono passi nella giusta direzione.

È necessario procedere lungo questa strada, così da promuovere lo sviluppo dei mercati, favorire l’integrazione e rendere maggiormente diversificate le fonti di finanziamento dell’economia europea, rafforzandone la capacità di reagire a shock avversi. Lo scorso anno - ha ricordato Visco - l’aumento della volatilità e le relative tensioni hanno colpito in modo particolarmente violento i mercati delle criptoattività. La capitalizzazione di queste attività a livello globale ha registrato una brusca caduta, passando da circa 2.400 a 800 miliardi di dollari. Alla contrazione hanno contribuito sia una generalizzata riduzione dell’esposizione degli investitori istituzionali verso questi strumenti altamente rischiosi, sia i fallimenti di alcuni importanti operatori di mercato, dovuti a gravi lacune nei processi di gestione dei rischi e a comportamenti fraudolenti. Il crollo del mercato delle criptoattività, pur determinando perdite significative per alcuni investitori, non ha avuto conseguenze sistemiche, grazie alle limitate interconnessioni con gli intermediari finanziari tradizionali, con il sistema dei pagamenti e con l’economia reale. In Italia, in particolare, nostre indagini indicano che solo una piccola quota delle famiglie, stimabile intorno al 2 per cento, deterrebbe questi strumenti, con importi mediamente modesti; anche l’esposizione degli intermediari italiani verso questi mercati è molto contenuta”. In questo scenario l’azione della Banca d’Italia “pone particolare attenzione alla necessità di individuare gli ambiti in cui le nuove tecnologie basate sui registri distribuiti (distributed ledger technologies, DLT) possono contribuire alla stabilità complessiva del sistema finanziario e alla tutela della clientela. Con la Comunicazione dello scorso giugno abbiamo richiamato l’attenzione sulle opportunità e sui rischi connessi con l’uso di queste tecnologie e delle criptoattività, invitando gli intermediari a porre in atto misure di attenuazione di tali rischi. Lo scorso novembre abbiamo pubblicato la seconda call for proposals di Milano Hub dedicata all’applicazione delle DLT ai servizi bancari, finanziari, assicurativi e di pagamento.

L’iniziativa intende favorire la diffusione tra gli operatori delle migliori prassi di mercato, al fine di promuovere, in particolare, l’affidabilità della governance, la robustezza dei meccanismi di regolamento e dei presidi interni di controllo dei rischi, la certezza e sicurezza dell’operatività sotto i profili tecnici e legali. La call si è chiusa nei giorni scorsi: vi hanno partecipato 81 soggetti, con diverse candidature provenienti da altri paesi europei e dal Sud-est asiatico, che hanno presentato 56 progetti, ora in corso di valutazione. Siamo altresì impegnati nello sviluppo di soluzioni tecnologiche e nella definizione di un quadro organico di norme a livello europeo e globale tese a favorire un utilizzo sicuro delle Dlt e delle loro applicazioni. Abbiamo definito una soluzione, detta “trigger”, che permette di regolare in moneta di banca centrale gli scambi di titoli su piattaforme basate su queste tecnologie. In stretto contatto con la Consob e il Ministero dell’Economia e delle finanze abbiamo inoltre avviato i processi necessari allo svolgimento delle attività di autorizzazione e supervisione previste dal regolamento europeo sui mercati delle criptoattività) e da quello pilota per le infrastrutture di mercato basate sulle Dlt. A livello globale abbiamo contribuito alla definizione degli standard per il trattamento prudenziale delle esposizioni bancarie in criptoattività pubblicati lo scorso dicembre dal Comitato di Basilea. Nell’ambito del Financial Stability Board partecipiamo sia allo sviluppo delle raccomandazioni di carattere generale per questi mercati sia all’aggiornamento di quelle per gli stablecoins globali, che saranno pubblicate a metà di quest’anno. Più in generale, ha detto Visco, “l’azione della Banca d’Italia e delle altre autorità competenti mira a consentire agli intermediari finanziari e ai gestori delle infrastrutture di mercato di disporre di strumenti avanzati di autovalutazione del rischio cibernetico. A tal fine la Consob, l’Ivass e la Banca d’Italia hanno recentemente recepito il modello europeo Tiber-Eu sviluppato dall’Eurosistema adottando, ciascuna per i propri ambiti di competenza, la Guida Tiber-It.

Quest’ultima offre una metodologia che può essere adottata su base volontaria dalle entità finanziarie per verificare e migliorare le proprie capacità di protezione, rilevamento e risposta agli attacchi cyber. Le tre autorità assicurano supporto alle società che decidono di sottoporsi al test e verificano la conformità ai requisiti della Guida nazionale curando, se necessario, le attività per il mutuo riconoscimento nelle altre giurisdizioni europee”. Non v’è dubbio, ha evidenziato ancora l’inquilino di Palazzo Koch, che l’invasione russa dell’Ucraina ci abbia costretto “ad affrontare una fase congiunturale molto difficile, connotata da un’incertezza estremamente elevata. Nell’area dell’euro l’alto livello raggiunto dall’inflazione colpisce duramente le famiglie, soprattutto quelle meno agiate, che spendono una parte consistente del loro reddito per l’acquisto di beni alimentari ed energetici e costituisce un onere pesante per le imprese, che vedono erodere la loro competitività. Anche a seguito di queste dinamiche, le prospettive di crescita per l’area si sono deteriorate. In questa fase il compito della banca centrale è particolarmente delicato. Le decisioni del Consiglio direttivo della Bce attuate sin dalla fine del 2021 sono state volte a contrastare il pericolo che l’elevata inflazione si traslasse sulle aspettative e che si avviasse una rincorsa tra prezzi e salari. L’azione dovrà proseguire continuando a ricercare il giusto equilibrio tra il rischio di fare troppo poco, lasciando l’inflazione elevata per un periodo di tempo eccessivo, tale da incidere sulle aspettative e sulla stabilità monetaria, e quello di fare troppo, portando a una caduta del reddito e dell’occupazione e compromettendo la stabilità finanziaria, con ricadute non meno gravi sull’andamento dei prezzi. Bilanciando questi due rischi, l’altro ieri il Consiglio ha deciso di innalzare i tassi ufficiali di 50 punti base, ha annunciato l’intenzione di aumentarli della stessa misura in marzo e ha segnalato che il ritmo di eventuali ulteriori rialzi sarà valutato successivamente. Ha confermato che le future decisioni sui tassi di interesse continueranno a essere adottate sulla base delle nuove evidenze rilevanti per le prospettive d’inflazione.

L’onere di affrontare i molteplici risvolti di questa crisi non può però ricadere, come è avvenuto spesso in passato, sulla sola politica monetaria. Quaranta anni fa - ha ricordato Visco -, nelle Considerazioni finali sul 1981, il governatore Ciampi ricordava che ‘la stabilità monetaria è una responsabilità comune, un bene mai definitivamente acquisito’. Era vero allora nel nostro paese, è vero oggi nell’area dell’euro: in una fase di forte incertezza le scelte di tutti gli attori, autorità europee, governi nazionali e parti sociali, devono essere tra loro coerenti, tenendo conto del contributo che l’azione di ciascuno fornisce al risultato finale. In Italia la politica di bilancio può continuare a mitigare gli effetti dei rincari dell’energia redistribuendo risorse, con interventi mirati e temporanei, a favore delle famiglie e delle imprese più colpite. Vanno evitati invece slittamenti ripetuti nel processo di consolidamento dei conti pubblici, che accrescerebbero l’onere dell’aggiustamento a carico delle generazioni future, già gravate del peso di un debito pubblico molto elevato. Prudenza e responsabilità nella conduzione delle finanze pubbliche - ha detto in conclusione il governatore della Banca d’Italia - dovranno essere accompagnate da determinazione ed efficacia nella realizzazione degli investimenti e delle riforme previste nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, utilizzando appieno le risorse del programma Next Generation Eu. Il successo nella transizione verde e in quella digitale su cui fa perno il Piano può produrre un doppio dividendo in termini di maggiore crescita economica e minore differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli degli altri principali paesi europei, che renderebbe meno difficile ridurre il peso del debito sul prodotto. Ma il conseguimento di una crescita che sia anche duratura ed equilibrata non potrà prescindere da una efficiente allocazione delle risorse e da una sempre migliore offerta di servizi alle imprese e alle famiglie, all’economia reale per la quale il contributo degli intermediari e dei mercati finanziari è e resterà fondamentale”.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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