Salario minimo o taglio del cuneo fiscale: i rischi e le certezze animano il dibattito

- di: Diego Minuti
 
Su quale sia la ricetta migliore per dare ulteriore spinta al Paese, per agevolarne la ripresa economica e sociale, è in atto un dibattito che, in altri tempi, sarebbe stato definito feroce tra i partigiani di due misure ritenute, entrambe, potenzialmente efficaci, ma che cozzano l'una contro l'altra, ma solo perché ''figlie'' di filosofie che più lontane tra di loro non potrebbero essere. Stiamo parlando della proposta ormai datata del taglio del cuneo fiscale e di quella ''politicamente'' più fresca dell'aumento del salario minimo, che ha fatto il suo ingresso alla grande dell'elenco delle cose che, per i suoi sostenitori, non sono più rinviabili. Qui la fine che si rischia, non essendo le due fazioni decise a fare un passo indietro, è quella dell'asino di Buridano, che morì di fame per la sua incapacità di scegliere. Ma se nel caso del quadrupede in questione la scelta era tra due cumuli identici di fieno, qui si tratta di misure che sono profondamente diverse come origine. L'aumento del salario minimo - di cui sta discutendo l'Europa, cosa che non ha come conseguenza automatica che l'Italia, come qualsiasi altro Stato dell'Ue, ne faccia proprie le conclusioni - è una cosa che è certo auspicabile, se si considera che è da qui che potrebbe portare ad una razionalizzazione delle paghe, oggi un vero e proprio caleidoscopio salariale. 

Ma, se fosse adottato, di fatto si sostanzierebbe in una gabbia che, come ha detto il ministro Renato Brunetta, farebbe sta ostacolo all'avvio di quella contrattazione aziendale che molto ha contribuito all'aumento delle retribuzioni. E' un po' come il segno dell'infinito, di cui non si capisce l'inizio e che non ha fine. E' giusto che le paghe minime siano alzate ad un livello solo? Certamente sì. Ma questa misura garantirebbe l'efficacia delle contrattazioni in seno alle singole realtà produttive? E qui ci sono dei dubbi, perché il rischio che si potrebbe correre è quello di un livellamento verso l'alto che renderebbe ardua la contrattazione in sede di relazioni industriali nelle singole realtà produttive. E' un ragionamento che appare fondato, soprattutto in una realtà come quella italiana in cui spesso i cosiddetti contratti integrativi hanno sanato, con efficacia, i vuoti salariali negli accordi nazionali. Non è sempre così, ma se non ci fossero stati gli accordi integrativi, per molti operai non si sarebbero aperte nuove prospettive economiche.

Ed è qui che si entra nell'altra ipotesi, quella del taglio del cuneo fiscale, che avrebbe effetti immediati in termini di aumento della potenzialità di spesa di tutti i salariati. C'è innanzitutto un aspetto concreto, perché il taglio del peso fiscale comporterebbe risultati immediati e tangibili in busta paga, sfuggendo magari al pericolo che un aumento del salario minimo sia utilizzato in modo improprio,  per aumentare carichi di lavoro o magari con un occhio all'aumento della produttività. 
Tagliare significativamente le tasse, poi, avrebbe un forte valore in termini di messaggio verso la stragrande maggioranza degli italiani che hanno visto il carico fiscale aumentare la sua pressione negli anni senza che a questo corrispondesse una crescita della qualità dei servizi. E torniamo al quesito iniziale, sul quale non possiamo altro che esprimere la nostra posizione, sapendo che la decisione sarà anche - c'è da aggiungere, purtroppo - conseguenza di diversi pensieri ideologici. Anche perché i partiti stanno preparandosi ad una ennesima battaglia e anche questa sarà percepita dalla gente come la conferma che per il potere si fa veramente di tutto. 
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