Rosa che?
- di: Barbara Bizzarri
Guerra, sesso e sexworkers (adesso si dice così, Afterlife insegna): ecco in parole povere la ricetta per il prossimo Sanremo e se me lo avessero detto anni fa quando, ancora minorenne, andai al mio primissimo Festival, e c’era la Bertè col finto pancione, stupenda, non ci avrei mai creduto. Aridatece Pippo Baudo! Un simile guazzabuglio di cialtroneria politically correct non si era mai visto, aspetto di vedere il risultato sul campo. Chissà se Mengele sarebbe mai andato in tivvù a spiegare le sue ragioni. Qui la guerra, una guerra che rischia di trascinarci in un inferno ancora più tragico di quello che viviamo, ma che è sfumato ad arte da vapori e merletti, si trasforma in una boutade da operetta, poi ovviamente si devono sdoganare le fisse mediatiche italiche da un po’ di tempo a questa parte: Only Fans. Qualcuno dovrebbe spiegare questa ossessione della stampa nazionale per il meretricio: che sia un’indicazione occulta, presagendo che fra poco non ci resterà altro per campare, oppure negli altri non si vede che il riflesso di sé stessi? Perché ultimamente sembra che i creatori di contenuti su OF siano eroi urbani e non chi semplicemente abbia deciso di fare soldi con facilità e sottovalutando a mio, per carità modestissimo, parere gli effetti che una simile scelta potrebbe avere sulle menti soprattutto dei più giovani, ma non divaghiamo. La santificazione del giorno è tutta per Rosa Chemical, al secolo Manuel Franco Rocati, gente che parla di un’Italia reale soltanto nella propria immaginazione, terrorizzata dall’eventualità che ci si masturbi poco (non sono bastati i lockdown?), tutti graniticamente convinti che in questo sciagurato Paese il "do it yourself "sia ancora un tabù: ma giustamente ci pensano loro, gli unti dal lubrificante, a rimediare, con i loro elevati componimenti.
Rosa Chemical da OnlyFans a Sanremo 2023
Smarrito il senso del ridicolo, che temo si potrà recuperare fra cent’anni, passiamo all’arte, dato che Rosa si considera un artista: e pur avendo un leggerissimo sospetto, ho ascoltato avidamente tutte le sue creazioni perché come si fa a non essere incuriositi da uno che sbandiera il poliamore come se fosse una novità assoluta, mentre esiste da quando esiste l’uomo e se ne parla da secoli, e in più si presenta avvolto dalla bandiera italiana, cosa che a me suscita comunque una certa emozione (la bandiera, non lui) pensando a quante lacrime sangue e sudore ci sono voluti e che si sono rivelati ahimè completamente inutili, visto come siamo ridotti. Ebbene, dopo un tale granitico sforzo, ho una certa nostalgia di Boy George, nonostante la sua manina floscia (durante le presentazioni!... omnia munda mundis), e oltretutto si truccava pure meglio, del resto fare vere canzoni pare brutto: ma cosa sarà mai scrivere schifezze da trogloditi quando si prova l’insopprimibile impulso di dire agli altri come vivere, cosa mangiare e bere, come fare sesso, come e quanto curarsi e perfino come morire. A proposito, il più atteso di tutti al Festival è Zelensky, come se fosse normale che in una gara di canzonette (non lo è mai stata, in effetti, però teoricamente di questo si tratta) vada in onda un’intervista del genere, magari presentata dalla Chiara nazionale, quella che si doveva informare sull’Olocausto però è troppo impegnata a comprare ville sul Como Lake per farlo. In questo caso, lo scopo sarebbe nobilitare la gara di canzonette a scapito della guerra, oppure esaltare quest’ultima con l’ausilio delle canzonette? L’unica certezza è che si tratti di una maramaldeggiata pubblicitaria senza altro senso se non non il ridicolo, come il servizio fotografico di Vogue. Date le continue richieste dell’intervistando di aiuti, soldi, armi, carrarmati e missili, se dà un’occhiata alla fauna festivaliera può stare tranquillo, ha scelto proprio il contesto giusto nel quale intervenire: sono già tutti pronti ad imbracciare le armi e partire per il fronte. A cominciare dal tizio di cui sopra.