Moccia, tre ego sopra il cielo
- di: Barbara Leone
Più che un esame di laurea, è stata una vera e propria lezione di modestia quella di Federico Moccia. Ironicamente parlando, of course. Lo scrittore romano, autore del celeberrimo capolavoro dei capolavori “Tre metri sopra il cielo”, s’è infatti laureato alla tenera età di sessant’anni o giù di lì (ma non è certamente questo il problema) in Lettere moderne con una tesi di comparazione fra la weltanschauung, o più terra terra la poetica, di Jack London e quella di... se stesso. Laurea triennale presso un’università telematica e manco col massimo dei voti: giusto per puntualizzare, e chi vuol capire capisca. Quello che noi, invece, non capiamo è la soddisfazione che si possa avere nello scrivere di se stessi. Perché solitamente la tesi di laurea implica innanzitutto un lavoro, spesso estenuante e cavilloso, di ricerca. Bibliografica, ma non solo. Ed implica una teoria che all’occorrenza la commissione può anche confutare. Ma, di grazia: se parli di te, chi mai potrà giudicare la bontà delle tue teorie? Questa scelta, dunque, manca innanzitutto dell’imprescindibile prerequisito che sta alla base d’ogni tesi di laurea: la valutazione oggettiva. Che in questo caso è, a voler esser buoni, perlomeno altamente improbabile. A ben pensarci, poi, è pure una mezza paraculata.
Federico Moccia si laurea con una tesi su se stesso
Un po’ come nel film “Ecce Bombo”, quando alla maturità il tizio porta un poeta contemporaneo che è lì con lui. Più facile di così! Per non parlare dell’autoreferenzialità, che in questo caso assume contorni elefanteschi ma anche un tantinello inquietanti, perché più che una discussione di tesi di laurea vien quasi il sospetto che si sia trattato di una seduta dallo psicologo. Che poi, ‘ a Federì: se vuoi fare il colpaccio fallo bene. Lode per lode, non nel senso del voto, potevi osare di più e compararti, che ne so, a Jacopone da Todi, Guido Cavalcanti o direttamente al Sommo Dante, no? Così è ‘na mezza cosa. Anche se fa un po’ impressione la sola idea che s’assurgano a poetica perle letterarie quali ad esempio: “Non puoi odiare chi non ti ama abbastanza”. O ancora: “Lei, semplice concime di quella pianta che spesso fiorisce sopra la tomba di un amore appassito... quella rara pianta che porta il nome di felicità”. E se non vi basta: “Se una persona ti manca non piangere alza gli occhi e ricorda che è sotto il tuo stesso cielo”. E vogliamo poi parlare dei nomi dei protagonisti? Step, Babi, Pollo, Pallina… e no, non sono cani e nemmeno gatti. Ma adolescenti innamorati che attaccano i lucchetti dell’ammmore a Ponte Milvio. Vero: il libro ha avuto un enorme successo proprio tra gli adolescenti ed il relativo film ha sbancato al cinema. Ma tra l’avere successo, oggi più che mai, ed il diventare un caso di studio, anzi di autostudio, ci passa tutta l’autostrada del sole che va dritta per dritta tre metri sopra il cielo. E boom! Abbiate pietà: Moccia che studia Moccia davvero nun se po’ sentì! A sto punto semmai dovesse arrivare alla magistrale siamo quasi certi che non ci sarà nemmeno spazio per Jack London. Tre metri sopra l’hybris, per restare in tema delle grandi Lettere. Quel topos della letteratura greca che descrive l’orgogliosa tracotanza di certi uomini che si credono semidei. Anzi, togliamo il semi. Tre metri sopra l’ego, e sto(p).