Manovra: basterà l'appello di Giorgia Meloni per frenare le richieste dei ministri?

- di: Diego Minuti
 
Cominciammo a parlare, dalle nostre parti, di ''fuoco amico'' molti anni fa, quando sentivamo quanto accadeva molto lontano da noi, quando i soldati americani combattevano in luoghi che non conoscevano e, talvolta, cominciavano a sparare senza capire dove sarebbero andati a finire i proiettili. Che qualche volta non colpivano il nemico, ma i loro stessi compagni. Ma lì, nell'impenetrabilità della giungla, era la casualità e spesso la paura a determinare la tragedia. Quello del ''fuoco amico'' è un fenomeno frequente anche in politica, che lo ha elevato a strategia con i ''franchi tiratori'', quei parlamentari che, al riparo del voto segreto, impallinano nell'anonimato la maggioranza o o schieramento di cui fanno parte. Un rischio che sembra correre oggi il governo di Giorgia Meloni, che (sebbene davanti ad una opposizione più impegnata a farsi del male che non a fare il suo mestiere) si deve guardare soprattutto da quanto accade al suo interno, dove pare che pochi abbiano la percezione del momento delicato che sta attraversando il Paese.  A dirlo - o ammetterlo - è lo stesso presidente del consiglio che, al primo appuntamento post-vacanze, ha lanciato, nuovamente, un appello a che tutti i ministri si facciano carico, per la loro parte, della contingenza e che, quindi, in sede di redazione della legge di bilancio limitino le loro richieste di specifiche voci, contribuendo quindi all'elaborazione di un testo che, avendo come obiettivi primari la riduzione del carico fiscale e le politiche per la natalità, sia saggio e non avventato.

Ma, si sa, che ciascun singolo componente dell'esecutivo si porta dietro progetti e linee programmatiche che però, per essere tramutati in fatti concreti, necessitano di una copertura finanziaria che al momento è limitata alle priorità e non certo alle ''mosse'' elettoralistiche. Che poi l'appello del premier sia raccolto da tutti è ancora da vedere, tenendo conto che alcune delle misure richieste con insistenza e che cozzano contro il buonsenso (ma soprattutto con i conti) fanno parte del pacchetto di promesse fatte dai partiti della maggioranza. Che quindi le considerano non negoziabili, anche se la richiesta di ragionevolezza viene dal presidente del consiglio in prima battuta, ma anche dal ministro Giorgetti, quello che sa cosa c'é in cassa e, quindi, quanto si possa spendere. E, peraltro, Giorgetti è anche quello che deve capire da dove tirare fuori le risorse, spesso una impresa titanica, ma che troppo di frequente si traduce in sforbiciate ai danni di chi, dipendente o pensionato, non può sfuggire alla tagliola. E non è certo un caso se, tra le ipotesi che sarebbero ora al vaglio, c'è quella di una parziale indicizzazione delle pensioni, limitandone la rivalutazione per stare al passo con l'inflazione. Insomma, alla fine, ad andarci di mezzo sono sempre gli stessi. 

Queste però sono considerazioni secondarie, rispetto al fatto che, dopo esserci ubriacati di numeri e percentuali che disegnavano l'economia italiana come in crescita esponenziale, ora ci ritroviamo addosso il solito fardello di debiti cui fare fronte. Che dovrebbe essere un obiettivo comune, ma che si allontana se chi è chiamato a fare le scelte decisive per il Paese non capisce che, vista le oggettive difficoltà, occorre fare esercizio di pragmatismo e, quindi, di continenza. Cosa che però al momento è un auspicio, perché qualcuno dei ministri (o dei capi politici) non riesce a sfuggire alla logica della esasperata ricerca del consenso, che è sempre una cattiva consigliera. Se si continua a premere l'acceleratore su improbabili riforme del regime pensionistico o su opere infrastrutturali con costi enormi, la strada è tutta in salita. E dietro l'angolo incombe la trattativa per la revisione del patto di stabilità, che al momento fa parte solo del capitolo delle speranze. 
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