La strage degli innocenti

- di: Barbara Leone
 
Strappati barbaramente dalle loro madri quando non hanno neanche un mese di vita. E poi trasportati anche per trenta ore in viaggi da incubo: ammassati, senza acqua né cibo, senza spazio per muoversi, senza aria per respirare. E per chiamare la loro mamma. E’ questo l’inferno che vivono ogni anno gli agnelli destinati a finire sulle tavole degli italiani in nome d’una tradizione anacronistica e feroce, che non c’entra proprio nulla con la Santa Pasqua. Anzi, ne rappresenta un’antinomia vera e propria. Di più: una bestemmia, un’eresia. Perché la Resurrezione è vita. Mentre lì, in quel piatto, c’è solo morte. Sono circa due milioni gli agnelli uccisi ogni anno in nel nostro Paese. E ben trecentomila vanno al macello a ridosso di Pasqua. Una mattanza, un olocausto, una strage degli innocenti. Parole forti sì, che certamente faranno storcere il naso a qualcuno. Ma poco importa. Perchè è ora di gridarlo forte e chiaro una volta per tutte: basta! E dovrebbe dirlo in primis la Chiesa, il Papa. Dovrebbe dirlo lui che quest’eccidio è un oltraggio a Nostro Signore. Lui, che ha scelto il nome di Francesco d’Assisi. Chissà se il Santo Padre ha letto mai Tommaso da Celano. La sua carità - scrive il primo biografo del poverello d’Assisi in “Vita prima di San Francesco” - si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. E poi lo scrittore prosegue raccontando di quando San Francesco incontrò un pecoraro che portava due agnellini in spalla pronti per esser venduti e macellati. E lui, che era Santo davvero, barattò il suo mantello in cambio di quei due agnellini, che poi fece vivere liberi fino alla fine dei loro giorni. Se sia vero non è dato a sapere. Ma quest’immagine rinfranca il cuore.

Ora ditemi voi: come è possibile conciliare la filosofia del Cristo, la sacralità della vita, della Resurrezione con uno sterminio simile? E perché, poi? Per la gola, che peraltro è uno dei sette vizi capitali? Non v’è giustificazione alcuna, signori miei. Né umana, né tantomeno divina. Quando si tratta di vita e morte non c’è una via di mezzo, e vale per tutti gli esseri viventi: o siamo con loro e smettiamo di partecipare a questo massacro, o ne siamo complici. Ma poi i poveri pastori, gli allevatori, i macellai che fine fanno? Cambiano lavoro, semplice semplice. Che se uno vuole, il lavoro ci sta eccome. Ma tutta l’economia che gira intorno? Si riconverte. Eh, ma quanto è bbbono l’abbacchio co’ le patate, è carne tenera. Appunto. Anche se poi non c’è differenza alcuna tra agnelli, maiali, conigli e polli. Perché, come diceva Tolstoj, se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani. Ma poi: chi siamo noi per decidere chi merita di vivere e chi no? Quand’è la vita stessa a meritare rispetto. Se solo tutti comprendessero questo banalissimo concetto fondamentale, comportandosi poi di conseguenza, la Terra sarebbe veramente un eden. 

E poi no. Una vita innocente, un agnellino, non li toglie i peccati del mondo. Dopo tre giorni, lui, non resuscita. E voi non l’avrete digerito. Perché con quelle succulente costolette ingurgitate anche il suo terrore, il suo sconcerto, la sua devastazione. Andateci a vedere come vengono macellati, andate a vedere come si disperano quando vengono strappati dalle loro madri. Dovete vederli, sentirli, guardarli negli occhi. Troppo facile andare in un supermercato e comprare un du’ costolette e mezzo abbacchio bell’impacchettato e pronto per essere messo in forno. Siate coerenti. E soprattutto consapevoli delle vostre azioni. E ricordatevi, cari mangiatori d’abbacchio e cadaveri vari, che  il male che si fa prima o poi ritorna indietro, e in forme varie. E’ solo questione di tempo.

Buona Pasqua!
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