La Banca Centrale Europea tra l’incudine e il martello

- di: Plenisfer Investments SGR
 
La Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato ieri un nuovo rialzo dei tassi di interesse di 75 punti base, dopo quello da 50 punti base del 21 luglio scorso.

Con questo aumento la BCE non ha disatteso le aspettative dei mercati che recentemente avevano aggiustato le stime prevedendo un aumento dei tassi superiore ai 50 punti base inizialmente previsti.

La BCE ha deciso di accelerare nella traiettoria di rialzo dei tassi, per ridurre il rischio di doversi trovare successivamente a rincorrere una maggiore spirale inflazionistica. Così come la FED, anche la BCE da ora in poi sarà “data dependent”, non darà cioè indicazioni sul tasso obiettivo (“terminal rate”) o sul tasso di equilibrio (“neutral rate”) e ogni decisione sarà funzione esclusiva dei dati macro. Ci sarà pertanto poca visibilità sulle scelte future per i mercati, elemento che probabilmente avrà come effetto quello di aumentarne la volatilità.

Il messaggio della BCE è andato oltre; ha riconosciuto l’impossibilità dei modelli econometrici di tener conto della situazione attuale sul fronte energetico, logistico e geo-politico. Quel che però la BCE si è spinta a dichiarare è che prevede nel futuro una serie di rialzi dei tassi alle condizioni attuali e fintanto che le aspettative di inflazione non ritorneranno al loro target di lungo termine.

Questi messaggi sono a nostro avviso il segnale che la priorità della BCE oggi è non solo la lotta all’inflazione - che ad agosto ha toccato in Europa il nuovo record di 9,1%, livello molto lontano dall’obiettivo del 2% che la BCE persegue -, ma anche il ripristino della propria credibilità su questo fronte, anche a discapito dell’economia dell’Eurozona.

La BCE ha impiegato più tempo della FED ad attivarsi nella lotta all’inflazione, mentre in passato, l'ultima volta nel 2011 e prima nel 2008, la BCE si era distinta per averli alzati troppo presto. Forse l’eccessiva cautela mostrata negli ultimi mesi dalla BCE deriva proprio da questi passi falsi del passato. Ma è più probabile che la funzione intrinsecamente politica della BCE le renda più difficile, rispetto alla FED, affrontare il problema inflazionistico. L'Eurozona non è infatti un'area valutaria ottimale e questo non è solo un problema inflazionistico, ma anche un problema di distribuzione delle “sofferenze” (come le ha definite Jerome Powell) che le politiche monetarie possono generare.

I tassi di interesse pari a zero hanno contribuito a mascherare le differenze tra i diversi membri dell'Eurozona. I tassi di interesse molto superiori allo zero faranno riapparire queste differenze.

Quindi, mentre entrambe le banche centrali, a cui si aggiunge quella del Regno Unito, vorranno aumentare i tassi più del necessario per superare i loro problemi di credibilità, la BCE dovrà stare attenta a non aumentarli in misura tale da far ripartire un'altra crisi dell'Eurozona.

Sarà un gioco di equilibrismo molto complesso che pone la BCE tra l’incudine e il martello.
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