L’erede, il pezzo di ricambio e il principe di Tiktok

- di: Barbara Bizzarri
 

400 mila copie vendute di Spare in un giorno nel Regno Unito, secondo soltanto a un altro Harry (Potter), chiaro indizio che il pellegrinaggio mediatico del pargolo di casa Windsor, lungi dal considerare i media diavoleschi quando gli servono, è andato a buon segno, in tutti i sensi: prova ne è la vetrina londinese che con impagabile british humour espone il tomo insieme a un altro titolo eloquente, How to kill a Family. Perché sembra proprio questa, tra una frasetta a effetto e una battuta da tiktok, la mission dello spare, la ruota di scorta, secondo quanto annunciato da Carlo a Diana appena gli era stato piazzato in braccio il secondogenito: Wonderful! Now you've given me an heir and a spare, mi hai dato un erede e un pezzo di ricambio, come dire, il mio lavoro qui è finito. Sottotitolo, torno da Camilla e addio forever, prova tangibile del peso del dovere dinastico sui nobili lombi. Con queste felici premesse, l'avventura di Harry si dipana secondo l'autobiografia del suddetto in un mondo a metà fra Disney Studios e una famiglia disfunzionale come tante, uguali sia in alto che in basso, tanto per parafrasare Ermete Trismegisto.

400 mila copie vendute in un giorno nel Regno Unito

Quindi non manca il padre assente, la mamma allegrotta (“di chi sei figlio?” pare chiedesse senza soluzione di continuità il perplesso padre al pezzo di ricambio per percularlo) e tuttavia defunta, la matrigna bastarda, che per diventare regina “lastrica la sua strada di cadaveri” e infine il fratello invidioso che, con sadismo pari ad Anastasia e Genoveffa, storpia il suo nome (“rispondimi, Harold”),  lo picchia col supporto prezioso della ciotola del cane (che va in mille pezzi: un attrezzino di alluminio da Arcaplanet, no eh?), lo induce a vestirsi da nazista per poi deriderlo con la consorte, e a scuola gli impedisce di parlargli in pubblico, mentre l'altro, a 40 anni suonati, confronta le camerette di entrambi (nel castello di Balmoral) e misura la sua umiliazione di fratello minore in metri quadri, come un poveraccio qualsiasi. Da qui a parlare di canne, coca, sesso en plein air (quando l'ho già sentita, questa consuetudine molto royal e, a questo punto anche genetica, pare?), glorificare una moglie per cui all'epoca inventarono duemila storie diverse, tirando fuori poco credibili frequentazioni della Markle assurte a cupidi improvvisati (la storiella più amena riguardava la p.r. di Ralph Lauren, provvidenzialmente estratta dal cilindro quando l’ex attrice aveva appena finito di frignare perché sui red carpet nessuno voleva vestirla. È vero che siamo scemi e lo dimostriamo costantemente, ma a tutto c’è un limite, ovvìa) per giustificare come si fossero conosciuti perché dire di essere fan di Suits, la serie in cui il futuro love of his life recitava, era considerato troppo plebeo, il passo è stato brevissimo. La transizione si è compiuta in 540 pagine e oltre, redatte dal sempre ottimo, quando si tratta di disgrazie familiari,
J.R. Moehringer, già ghostwriter di André Agassi: da principe e duca di Sussex a tronista qualunque, che dice una cosa, poi si contraddice, e poi ancora chiede alla sua famiglia di assumersi la responsabilità non si capisce bene di che, forse di essere regnanti che in un modo o nell'altro devono mandare avanti The Firm senza far trapelare troppi particolari che in altri secoli hanno portato a infiggere illustri teste su una picca.

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