Inflazione USA ai minimi da due anni, ma le sfide della Fed continuano

- di: Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm
 
Da oltre un anno la banca centrale statunitense sta combattendo contro lo stesso nemico, l’inflazione. Nonostante gli ultimi dati di aprile segnalino una variazione dell’indice dei prezzi al consumo Usa dello 0,4% su base mensile e del 4,9% su base annua, il dato più basso da aprile 2021, l’inflazione continua a rimanere alta e resiliente agli sforzi della Fed per cercare di normalizzarla.

Dal canto suo la Fed, per il momento, non sembra intenzionata a invertire la sua politica monetaria restrittiva, come testimonia l’ultimo rialzo di 25 punti base deciso la scorsa settimana, il decimo consecutivo da marzo 2022, che ha portato i tassi tra il 5% e il 5,25%, il livello più alto mai raggiunto dal 2007.  

L’aggressività della politica monetaria statunitense ha sicuramente avuto un ruolo decisivo nella crisi che ha colpito il settore bancario durante il mese di marzo, prima con il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) e di Signature Bank, poi con il salvataggio di Credit Suisse da parte di Ubs e le tensioni vissute da Deutsche Bank e, infine, con l’acquisizione di First Republic Bank, la quattordicesima banca del sistema Usa, da parte di JP Morgan.

Le pressioni sul sistema economico e bancario hanno spinto la Fed a lasciare aperta la porta a una possibile pausa nel ciclo di rialzi dei tassi e, nonostante il governatore Jerome Powell abbia più volte ribadito che la politica monetaria dipenderà dai dati, attualmente i mercati stanno puntando sul fatto che la Federal Reserve possa tornare a tagliare i tassi, per far fronte ad un rallentamento economico o a sviluppi più severi della crisi bancaria.

Chi investe vede un trend molto marcato che potrebbe consentire alla Fed di rimuovere l’andamento dei prezzi dalle variabili da monitorare per determinare la sua politica monetaria, per lo meno nei prossimi mesi. Questa prospettiva favorisce indubbiamente l’azionario e altre asset class rischiose, supportate dalla cosiddetta “Fed put”, e al contempo mette anche un tetto al possibile livello che i tassi d’interesse possono raggiungere in un contesto di inflazione in calo e politica monetaria alla fine del tunnel. 
 
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