I valori del 25 aprile. Quest’anno un’edizione contrastata

- di: Giuseppe Castellini
 
Un 25 Aprile contrastato, quello di quest’anno, che ha messo sotto pressione e in difficoltà anche l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) come mai era accaduto prima. Perché si svolge in un momento in cui la guerra è tornata a farsi vedere in Europa con l’attacco della Russia all’Ucraina. Tutti d’accordo nel condannare l’invasione decisa da Putin, ma contrasti sulla decisione di aiutare anche militarmente la Resistenza ucraina e di aumentare le spese militare almeno al 2% del Pil. Divisioni anche sulle responsabilità dell’attacco di Putin, con alcuni che puntano il dito anche contro la Nato. 

Il Presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, giornalista già stretto collaboratore di Armando Cossutta, aveva preso posizioni di sostanziale equidistanza sulla guerra in Ucraina e contrarietà all’invio di armi alla Resistenza Ucraina da parte dell’Italia, negando si fatto anche un parallelismo tra Resistenza italiana e Resistenza ucraina, anche se entrambe sono basate su una reazione a un’occupazione straniera. Le polemiche sono diventate, autorevoli rappresentanti dell’Anpi si sono ribellati alle parole di Pagliarulo che ha dovuto così compiere all’ultimo momento una svolta netta, dichiarando che quella Ucraina è una Resistenza in piena regola e che la responsabilità di quanto sta accadendo è di Mosca. Tuttavia non ha detto nulla circa l’approvazione o all’invio di armi alla Resistenza ucraina.

La linea l’ha comunque dettata il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in varie occasioni e anche oggi nell’intervento ad Acerra. E la linea è che quella ucraina è vera Resistenza (ha anche citato la strofa iniziale di ‘Bella Ciao’) e che l’Italia è in linea con le posizioni prese dall’Unione europea che come noto, insieme alla gran parte dei Paesi occidentali, sta sostenendo anche militarmente la Resistenza ucraina. Nei tantissimi cortei svolti come di consueto oggi in tutta Italia per celebrare la Liberazione dal nazi-fascismo e la fine della guerra in Italia, comunque, la divisione si è chiaramente notata e a Milano, dove tradizionalmente si svolge il corteo principale, ci sono stati anche alcuni – per fortuna brevi – momenti di tensione.
Per il resto, questo 25 Aprile, ha ribadito – se mai ce ne fosse stato bisogno – cose essenziali. L’Italia, dopo l’8 settembre 1943, fu invasa dall’esercito tedesco di Hitler, che la occupò militarmente. La prima Resistenza a questa occupazione fu quella dei militar italiani che, in numerose zone in cui erano dislocati (e lasciati a se stessi, senza ordini né consegne, con la fuga precipitosa del re a Brindisi, in territorio già conquistato dagli alleati) si opposero con le armi, venendo in varie situazioni sterminati, come a Cefalonia. 

La Resistenza italiana, aiutata e armata dagli alleati anglo-americani e anche da non pochi reparti dell’esercito italiano sbandato, si allargò e si consolidò rapidamente nella parte occupata del Paese, diventando una vera spina nel fianco dell’esercito di Hitler e della loro alleata Repubblica fascista di Salò, come emerge con chiarezza dalle memorie e dalle testimonianze nei processi dei generali tedeschi -  a partire da Kesserling, il comandante in capo dell’armata tedesco in Italia - che indicano in particolare nella Resistenza romana quella che fu più grave, impedendo alle truppe tedesche di stanza al fronte di potersi riposare nella capitale (formalmente dichiarata Città aperta, ma di fatto in mano alla prepotenza nazi-fascista), che per loro era un luogo molto pericoloso (“non c’era giorno – afferma Kesserling nelle memorie – che non spuntasse nel Tevere il cadavere di un soldato tedesco”).

Una Resistenza importante certamente da punto di vista etico e morale (la ribellione a un’occupazione in piena regola, il riscatto morale dopo un ventennio di dittatura e dopo l’8 settembre, che per i modi in cui avvenne è stata definita la ‘morte della Patria’) ma anche dal punto di vista militare, come riconosciuto dagli alleati. E non a caso fummo l’unico Paese, tra quelli che avevano dichiarato guerra agli Alleati, a poter contare ininterrottamente su un nostro Governo (tornando a votare già il 2 giugno del 1946), mentre gli altri Paesi, a partire da Germania e Giappone, subirono un lungo governo alleato (l’Austria fino al 1955). L’importanza della Resistenza italiana, insomma, servì al Paese ad evitare ulteriori umiliazioni e non a caso ebbe una larga eco nel mondo.
Ma la caratteristica specifica della Resistenza italiana è che è lì, in quello scatto di dignità, che ha le sue radici la Costituzione dell’Italia democratica e repubblicana. Non avremmo avuto una Costituzione così avanzata se la Resistenza non ci fosse stata. È nella Resistenza che, pur tra posizioni ideologiche anche molto diverse, maturarono valori, pensieri, decisioni, aspirazioni che rappresentarono - e rappresentano tutt’ora – un netto scostamento rispetto al passato, compreso lo Statuto Albertino.

Vale quindi la pena di chiudere con un brano del famoso discorso che famoso discorso sulla Costituzione che Piero Calamandrei pronunciò nel 1955 a Milano agli studenti universitari: 

“In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane...
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie... ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!

O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!

O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubbllica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!

O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!

E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani...

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. 

No, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
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