Adesso, dicono, vogliono imbalsamarlo, dedicargli una statua, magari un museo, e anche creare dei gadgets, chissà, purché si possa continuare a sfruttarlo in qualche modo, con la stessa pervicacia con cui lo hanno fatto quando era in vita, senza saperlo difendere, soprattutto da loro stessi e dalla crassa ignoranza che è stata dimostrata fino all’ultimo nella gestione di questa faccenda ignobile. Juan Carrito è morto un mese fa nella più straziante delle morti annunciate: investito da un’auto, in un incidente dalla dinamica oscura che, mi auguro, verrà indagata a fondo e di cui venga data notizia, perché è paradossale che si pubblichino i nomi di chi ruba tre mele e non si sappia nulla di come vengono gestite le condanne a chi arreca danni agli animali: a proposito, che fine hanno fatto, per citarne una soltanto delle migliaia di sevizie inferte agli animali registrate ogni anno in questo disgraziato Paese, i quattro delinquenti che hanno picchiato selvaggiamente quel povero Angelo, di nome e di fatto, che ha continuato a scodinzolare finché lo hanno ucciso? In questo caso, invece, chi ha investito un animale da 150 chili fratturandogli tutte e quattro le zampe, sosteneva di andare piano su una strada di montagna ad alta densità di fauna selvatica: difficile da credere viste le conseguenze, e perché se ne sentono fin troppi, di bulletti in campagna, montagna e zone rurali, a vantarsi di aver ucciso volpi, lupi, cinghiali, tanto i danni li paga le Regione. È risaputo che le strade deserte dei parchi nazionali sono teatro di corse automobilistiche nonostante i (pochi) cartelli che invitano a una velocità moderata e, purtroppo, non ci si vuole adeguare all’idea che siamo noi ad aver invaso un habitat naturale e non il contrario. Le istituzioni dimostrano, ancora una volta, di impegnarsi, indignarsi e gettare la spugna con gran dignità e, mentre si riempiono la bocca di parole e proclami, si rivelano totalmente incapaci di realizzare ciò per cui percepiscono migliaia di euro: salvaguardare una specie protetta. In Abruzzo come in Trentino, ai grandi annunci di salvaguardia e tutela seguono soltanto cronache di morte. Non risulta una vera difesa quanto piuttosto una serie di abbattimenti: a parità di intenzioni e indifferenza, almeno in Trentino sostengono di praticare l’eutanasia. Dall’autopsia dell’orso, un cucciolo di tre anni appartenente a una specie rara, in estinzione, di cui restano cinquanta esemplari e per il quale è evidente la totale incapacità delle istituzioni di prendersene cura, è emerso non soltanto il politrauma che lo ha ucciso mentre una sfilza di balordi lo riprendeva con il telefonino in video atroci, con tanto di voce femminile in sottofondo che diceva di volere andare via e senza che nessuno muovesse un dito per salvarlo mentre agonizzava e piangeva di dolore, ma anche che fosse cieco all’occhio destro e con una ferita al collo. Cosa ha fatto chi doveva occuparsene, se non frignare lacrime di coccodrillo a favore di giornali e telecamere? Perché Juan Carrito non è stato tutelato come sarebbe stato giusto e doveroso in una regione che proclama, evidentemente a vanvera, di saper difendere una specie autoctona a rischio di estinzione? Nello stesso tratto della SS17 è stata investita un’orsa con il suo cucciolo, perché non sono stati installati impianti elettronici in quel tratto di strada; nel 2018 un’altra orsa con i suoi cuccioli è annegata in una vasca di raccolta dell’acqua del Parco Nazionale d’Abruzzo, che non era recintata in modo adeguato. Le stesse strade dei parchi sono alla mercè di chiunque, inondate di rifiuti, senza controlli né dispositivi adeguati. Qualsiasi persona dotata di un minimo di buonsenso, se non di intelligenza, merce sempre più rara, dovrebbe sapere che non si corre in aree protette all’interno di parchi naturali, soprattutto in condizioni meteorologiche avverse, perché in qualsiasi momento potrebbe sbucare fuori all’improvviso un animale selvatico: che sia un cervo, che sia un lupo, o che sia un orso. Ma dato che questi animali sono considerati spesso un fastidio e nulla più, niente ci vieta di pensare al dolo: se non in questo caso, in migliaia di altri. Come sempre quando queste creature si avvicinano troppo all’uomo, a rimetterci sono soltanto loro: così è stato per Freya, il leone marino abbattuto perché i turisti le si avvicinavano troppo per farsi i selfie, così è stato per l’elefantessa incinta che si è fidata dell’individuo ignobile che le ha offerto, come cibo, un ananas imbottito di petardi, e così è stato per l’orsa che ha aggredito in Trentino l’escursionista, lui sì selvatico, che la stuzzicava con un bastone mentre lei era con i suoi cuccioli fino a farsi aggredire e a piagnucolare poi per questo sui giornali, voglioso di indennizzi, quasi a sfidare le leggi della natura per vedere chi comanda, ché si vuole essere padroni di tutto, ma siamo i padroni di niente e un giorno, si spera presto, la hybris del genere umano verrà punita. In queste circostanze, si riesce a dimostrare soltanto di essere una pletora di avidi e incapaci, e il risultato è che mentre le specie in estinzione sono sempre più in pericolo, si moltiplicano i soliti ponzipilati che se ne lavano le mani, dicendo che un incidente poteva capitare. No: un incidente non può e non deve capitare, applicando le giuste misure di sorveglianza e controllo del territorio, e le persone devono essere educate a capire la fortuna e la bellezza di poter vivere in un parco naturale, ammesso che non sia un’ingenuità credere che bastino lo studio e la conoscenza per fare di un essere umano una creatura retta e animata da sani principi. Ma è ora che le istituzioni facciano la loro parte, perché la dimostrazione più palese dell’incapacità di gestire Juan Carrito è che avrebbe dovuto essere in letargo da un mese, non su una strada pericolosa e con la vista dimezzata, anche a causa del comportamento criminale di chi ha favorito la propensione alla fiducia di quest’orso per incentivare un turismo da quattro soldi: lo si attirava in paese con esche alimentari, le stesse con cui era stato fatto tornare dalla Majella, dove lo avevano trasportato perché, finalmente, facesse una vita da orso, però la colpa era sua, era lui l’orso “confidente”, era lui il problematico, non gli scemi che lo circondavano, che volevano farsi le foto con l'orso, che lo nutrivano facendolo avvicinare ai centri abitati sconvolgendo tanto le sue abitudini da non averlo fatto andare in letargo perché senza necessità di ripararsi dai rigori e dai digiuni invernali. A furor di popolo doveva restare in paese, per essere inseguito da cretini che lo riprendevano dall’auto mentre correva, spaventatissimo, sulle strade, che lo facevano giocare col proprio cane, per una foto, un like, un qualsiasi segnale di attenzione per non sentire tutta la mediocrità della loro esistenza, la stessa di chi, dopo la sua morte, ha proclamato che il suo ultimo pasto l’orso lo avesse fatto proprio nel suo pollaio, o nel suo frutteto: finora ne avrà fatti almeno dieci, di ultimi pasti. Perché l’orso va bene se fa folklore, se fa guadagnare, altrimenti è soltanto una bestia inutile e nociva, perché ruba le galline, ruba il miele e si aggira per le vie, quando non ci si rende conto che ad attrarlo nelle città è chi ci abita, sono gli uomini, perché devono, fortissimamente, sfruttare la situazione, e poi li fa ridere, li diverte vedere il pupazzetto giocare con un cane, abbeverarsi alla fontana della piazza, andare in giro alla ricerca di cibo, si esaltano allo spettacolo di una creatura che ha fame. Non c’è niente di divertente in questa pochezza di spirito, in questa mancanza di empatia. Tutti colpevoli e tutti puniti, anche chi non si rende conto della perdita immensa di questa creatura, soprattutto quanti hanno il coraggio di dire che si tratta soltanto di un orso e non comprende che era un essere vivente con tutta la dignità che gli è dovuta in quanto tale, e che, trattandosi di una specie a rischio, aveva un patrimonio genetico importantissimo, che è andato perduto. Ecco l’ennesima dimostrazione della pletora di imbecilli che abita questo pianeta e non è degno di difenderlo, ma soltanto di abboccare a gretinate superflue. Si parla tanto di transizione green ma l’unica cosa davvero verde è l’ipocrisia che regna sovrana e che fa sì che tutto cambi perché tutto resti uguale. Inammissibile la dichiarazione del Parco o chi per esso, secondo la quale anche se il veterinario fosse andato lì prima delle due ore di agonia (che non ci sia un servizio di emergenza in un’area con specie protette, poi, è paradossale) non ci sarebbe stato nulla da fare: una cosa da fare c’era, e si chiama sedazione affinché questo povero animale che piangeva di dolore in mezzo alla strada non subisse una sofferenza tanto atroce. La Legge nazionale prevede il recupero e la cura degli animali selvatici feriti, come stabilito dall'art. 9 della Costituzione: è indegno che non sia stato possibile, in nome non soltanto della legge, ma di una pietas che evidentemente è andata perduta, risparmiare sofferenze inutili a una povera creatura che comunque, date le circostanze, era già votata alla morte. Che si tratti di un animale o di un uomo, è un dovere civico prima che medico e veterinario, ed è inammissibile che si consideri normale un fatto del genere senza che nessuno intervenga tempestivamente in un’area in cui i veterinari dovrebbero essere operativi 24/7: rivela una forma mentis degna del paese, volutamente minuscolo, che siamo diventati o che forse non abbiamo mai smesso di essere, perché a questo punto il dubbio è più che lecito. Questa è stata la fine dell’orsetto simbolo di Roccaraso: agonizzante sulla strada, ripreso dai soliti trogloditi, costretto in vita a fare da clown per divertire quelli di cui si fidava, gli stessi che lo hanno lasciato morire in mezzo alla strada, fra dolori atroci in ore interminabili di sofferenza indescrivibile. Una creatura innocente, sfruttata viva e morta, che ha pagato con la vita il peccato più grave di tutti: fidarsi degli esseri "umani".