Forum Ambrosetti al via con lo spettro del calo demografico, De Molli: “Rischiamo di perdere un terzo del PIL”. Il Presidente Mattarella: "Nessun Paese Ue pensi a un futuro separato"

- di: Barbara Bizzarri
 
Ha preso il via proprio questa mattina il Forum Ambrosetti che, arrivato alla 49esima edizione, dedicata allo "Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive", torna in scena come di consueto nel primo fine settimana di settembre. Sono tanti i temi al centro della tre giorni di Villa d’Este a Cernobbio, e ancora di più le personalità presenti, dai commissari UE Borrell e Gentiloni ai ministri Salvini, Tajani, Calderone, Fitto e Urso, fino a Daniele Franco, candidato alla Bei, e Samantha Cristoforetti. 

Tra i temi al centro della prima giornata le sfide globali del futuro e gli impatti sull'economia ma anche gli sviluppi scientifici e tecnologici. L'opening speech di Valerio De Molli, managing Partner e Ceo The European House – Ambrosetti, ha riguardato più argomenti, a partire dall’“inverno demografico” italiano, sottolineando che “secondo lo scenario peggiore stimato da Istat, il paese passerà dagli attuali 59 milioni di abitanti a 51 milioni nel 2050. Abbiamo stimato inoltre che, se gli attuali tassi di natalità e mortalità non dovessero cambiare in futuro, l’ultimo italiano nascerebbe nel 2225 e la popolazione italiana cesserebbe di esistere nel 2307. è certo uno scenario distopico, irrealistico ma volto a stimolare la riflessione sulla difficile congiuntura demografica in cui il nostro Paese si trova”. Da crisi demografica a crisi economica il passo è breve: “una popolazione di 51 milioni nel 2050 comporta per il Paese una perdita economica pari a un terzo del Pil. A parità di altri fattori, chi si preoccupa di questo? Se ipotizziamo invece i tassi di crescita del pil al 2050 previsti dal Mef, in uno scenario con circa 8 milioni di italiani in meno, la produttività dovrebbe almeno raddoppiare rispetto al dato attuale. Non è mai successo nella storia ed è oggettivamente un obiettivo irraggiungibile senza un profondo ridisegno del modello economico del Paese. 
 
Secondo le nostre stime, in uno scenario di minori immigrazione e natalità, il rapporto debito pubblico/pil esploderà, raggiungendo 220% nel 2070 (vs 170% nello scenario baseline del Mef). nel 2070 ogni persona alla nascita si troverà con un debito pari a 127 mila euro, pari a quasi 3 volte il valore attuale, e anche i sistemi sanitari subiscono la pressione dell’invecchiamento della  popolazione e dell’aumento delle malattie croniche: oggi la spesa sanitaria  pubblica è pari a 134 miliardi di euro, ma esploderà fino a 220 miliardi di euro nel 2050: in un contesto in cui diminuiscono i contributi e gli incassi dello stato e con un  debito pubblico già ai massimi livelli come il nostro, semplicemente “salta il  banco”. In più, un danno irreparabile sarebbe subìto dal capitale umano e dalla generazione di nuove idee che guidano la crescita, perché in assenza di nuove idee, la crescita si arresta. L’equazione vincente è: più giovani, più innovazione, più cambiamento, uguale un futuro migliore per tutti”. 

La ricetta per scongiurare la spada di Damocle della desertificazione italica sarebbe, ha proseguito De Molli, “aumentare immediatamente ad almeno 250.000/anno la quota di permessi di soggiorno per motivi di lavoro; realizzare una legge sull’immigrazione che favorisca, oltre agli ingressi, meccanismi di integrazione e mobilità sociale” in una società in cui “gli anziani potranno diventare da costo a risorsa, favorendo l’allungamento della vita lavorativa anche fino a 75 anni su  base volontaria;  promuovendo il coinvolgimento degli anziani in servizi a supporto della  collettività, anche tramite la loro partecipazione ad iniziative di co-housing; possiamo inoltre fare leva sulla tecnologia; inserendo l’automazione e la robotica tra le filiere strategiche del Paese”. Fondamentale poi sarebbe “inserire l’automazione e la robotica tra le filiere strategiche del Paese, utilizzando robot per l’assistenza e il supporto agli anziani, con il successivo stanziamento di risorse per favorirne l’impiego. Per la genitorialità, sarebbe bene investire nelle politiche di conciliazione vita-lavoro in un’ottica di  promozione della stessa, ad esempio attraverso lo strumento dei  congedi rendendoli obbligatori e favorendo quelli parentali e di paternità, da  portare a 72 mesi i primi e a 4 mesi i secondi, e del part-time anche maschile;  allo stesso tempo, si può favorire la natalità nel sistema educativo, introducendo momenti formativi nei programmi di educazione civica sui  temi della demografia, della natalità e della genitorialità; sviluppando una narrativa positiva sulle potenzialità del Paese fin dalle  prime fasi educative; promuovendo modelli di vita ispirati ad una genitorialità condivisa e  paritaria, anche incentivando la partecipazione maschile” e ricorrere a un “supporto medico adeguato, ampliando l’accesso alla procreazione medicalmente assistita  con un investimento di circa 300 milioni di euro/anno”, sostenuto da politiche attive adeguate “avviando un programma di investimento in nuove abitazioni per almeno 31  miliardi di euro nei prossimi 10 anni, favorendo flessibilità d’accesso e co housing;  incrementando la componente di servizi nell’ambito delle policy a  sostegno della genitorialità e della natalità per almeno 12,5 miliardi di  euro/anno, oltre a quanto già stanziato dal Pnrr per la costruzione di nuovi  asili; incrementando i benefici monetari a supporto della genitorialità e della  natalità”.

Particolare attenzione è stata riservata al messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: "Nessun Paese del Continente, neppure i maggiori per dimensioni o reddito, può pensare a un futuro separato da quello degli altri: sarebbe una fuga dalla realtà e, prima ancora di un'illusione, un atto controproducente. Sarebbe una fuga dalla realtà ignorare le problematiche dell'agenda mondiale. Va rafforzata la capacità dell'Ue di essere un interlocutore politico globale. L'Europa è il quadro entro il quale si costruisce il nostro avvenire con le lacune che accompagnano il processo di integrazione europea, fattore che trasforma e plasma anche il nostro modello sociale. Pace e sicurezza, così come crescita e benessere dei popoli, passano attraverso la capacità dell'Unione europea di rappresentare un fattore di stabilità e attrazione per chi crede nei valori della libertà, dell'indipendenza, della democrazia. Il tradizionale Forum, organizzato da The European House - Ambrosetti, chiamando responsabili politici, operatori economici e finanziari, intellettuali e dirigenti di forze sociali a un confronto su scala sovranazionale, costituisce un'interessante occasione di riflessione sugli scenari posti davanti a noi e sulle linee di azione utili a far avanzare l'intera Unione europea, condizione primaria di sostenibilità per i Paesi membri. Le sfide di fronte alle quali ci troviamo sono sempre più complesse. Si può sostenere che le crisi finanziarie globali, i caratteri inediti della competizione geopolitica, l'esperienza della pandemia, la crisi climatica, la stessa guerra determinata dall'aggressione da parte della Federazione Russa all'Ucraina, abbiano costituito un rallentamento alla globalizzazione. Ma non si può certo dedurre che l'interdipendenza ne sia stata ridimensionata. Le sfide di fronte alle quali ci troviamo sono sempre più complesse. Sarebbe una fuga dalla realtà ignorare le problematiche presenti nell'agenda mondiale. La Conferenza sul futuro dell'Europa ha aperto il cantiere di una riforma che dovrà inevitabilmente migliorare i Trattati vigenti".

Il focus di quest'anno è sugli Stati Uniti, ma spicca, al centro del dibattito, anche il ruolo dell'Arabia Saudita nell'ordine internazionale, con un intervento del Ministro degli Investimenti, Khalid Al Falih. Si parlerà anche del futuro assetto europeo con un confronto tra Enrico Letta, ex segretario del Pd, Balázs Orbán, Political Director del Primo Ministro ungherese e il segretario di Stato per gli Affari Europei francese, Laurence Boone.

Concentratissima, come di consueto, l'agenda di domenica, che vede l’Italia protagonista. Si parte con l'opposizione e gli interventi di Calenda, Conte e Schlein. Poi una serie di panel con gli ex ministri Giovannini, Franco (candidato alla Bei), Brunetta (ora alla presidenza del Cnel) e i ministri Urso, Nordio, Piantedosi, Zangrillo, Valditara, Casellati, Bernini, Pichetto Fratin, il vice premier e responsabile delle infrastrutture Salvini, Calderone, Fitto. E infine, a chiudere le tre giorni, Giorgetti.

Altro protagonista di rilievo è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky con un contributo in video conferenza: "La nostra collaborazione con l'Italia è fondamentale ogni giorno e non abbiamo mai avuto dubbi rispetto alla forza delle decisioni dell'Italia nei nostri confronti rispetto al supporto per l'Ucraina. Vogliamo ringraziare l'Italia per il sostegno politico che ci ha dato e anche l'Ue per aver sostenuto la nostra candidatura e gli impegni per garantire la sicurezza del nostro Paese. Sono certo che questo sia il momento delle decisioni forti per la nostra sicurezza e per l'Europa. Vediamo chiaramente chi è il nemico. Non c'è forza dall'altra parte del fronte, stanno solo commettendo crimini contro l'umanità, il mondo vede tutto questo. Chi vede forza in un missile lanciato contro un aereo che sta volando in assoluta pace, chi vede forza in un leader che deve muoversi nel suo stesso Paese in un mezzo blindato? Vediamo la debolezza, non forza, anche quando stanno cercando di creare caos in Africa. Non stanno dimostrando di essere forti, ma di distrarre il mondo. Il terrore non significa forza. Se è vero che Putin ha ucciso Prigozhin, stiamo ancora aspettando conferma di questo, ci sta ulteriormente mostrando la sua debolezza. La promessa di certe garanzie a Prigozhin e poi la sua uccisione significa quanto deboli siano le parole di Putin. È impossibile andare a negoziare con Putin perché non riesce a mantenere le sue stesse parole e promesse. Tutto questo conferma che non possiamo fidarci di Putin e che la sua parola non vale nulla. Aveva paura di Prigozhin e quindi lo ha gestito come abbiamo visto. Senza la Crimea, senza il Donbass e i territori occupati non ci potrà essere una pace sostenibile in Ucraina e quindi nemmeno nell'area europea. L'Ucraina essendo una nazione civilizzata non riconosce la parte di Crimea che appartiene alla federazione russa, altri Paesi non riconoscono questo e quindi la situazione non è sostenibile e ci sarà un caos permanente, è questo che cerca la Russia. Questo può essere risolto in modo diplomatico o militare. Le truppe russe dovrebbero lasciare la penisola senza ulteriori pressioni, consentirebbe di risparmiare vite".
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