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E ci saremmo stufati!

- di: Barbara Leone
 
Uno dei miei più grandi amori si chiamava Filippo. Un amore così grande, che me lo sono tatuata sul braccio il suo nome. Con grande disappunto della ministra Eugenia Maria Roccella, immagino. Visto che Filippo era un cane. Nei giorni scorsi, infatti, la signora ministra si è lanciata in una disquisizione sul tema della natalità: ovvio e naturale, dal momento che il suo dicastero riguarda famiglia, natalità e pari opportunità. Del resto che il calo demografico in Italia sia un problema è cosa assodata, che nessuno mette in discussione. E sarebbero molte le cose a cui metter mano, molte le questioni da affrontare non ultima quella delle adozioni, che nel nostro Paese sono una corsa ad ostacoli ai limiti dell’impossibile. Ma torniamo al punto. Non si fanno figli ma, secondo Roccella, si colma il vuoto affettivo adottando cani e gatti. Al punto che molto spesso i proprietari danno loro nomi umani. “Una confusione non casuale - ha affermato dal palco della festa dei giovani di Fratelli d’Italia Roccella - perché questo tentativo di appaiare i nomi che si danno ai bambini a quelli dei cani è sintomo di un desiderio di affettività e famiglia che evidentemente c’è, che però viene trasferito in maniera impropria sugli animali”. Tant’è vero che quando ella va al parco col cane, perché ce l’ha un cane e giura d’esser pure animalista, si stranisce quando sente “gli altri padroni chiamare i propri cani Eugenio, Riccardo o addirittura Giovanni Maria”. Mo’ io sono anni che frequento i parchi per i cani e mai, dico mai, ho sentito nomi simili. Ma non divaghiamo: anche se fosse, non vedo dove sia il problema. In questa analisi spicciola, e non richiesta, la signora ministra è del resto in buona compagnia. Ottima, direi. Visto che Sua Santità Papa Francesco (oibò Francesco, come il Santo che parlava pure con le api) ogni due per tre tira fuori i cani e i gatti che, a suo dire, sostituiscono i bambini nelle culle. E poco ci manca che siano pure responsabili della fame nel mondo, visto che noi proprietari di animali domestici compriamo loro guinzaglini colorati, passeggini e quant’altro. Le parole di Roccella, manco a dirlo, non son passate inosservate scatenando polemiche finanche dalle colonne dei giornali che simpatizzano per questo governo. Perché a una certa, forse, anche basta. E ci saremmo stufati: ogni santa volta che si parla di crisi demografica, ci devono ficcare in mezzo gli animali. Quasi fosse un delitto amarli come figli. Ah però tu non ne hai e non puoi capire… E manco il Papa et similia possono capire, visto che non hanno né figli né cani. E ci saremmo stufati d’essere psicoanalizzati perché tu tratti i cani come figli, ma i figli sono un’altra cosa, ma vuoi mettere fare la madre, portarli in pancia, all’asilo e blablabla. E ci saremmo stufati di questi giudizi sommari e dei ditini puntanti contro manco togliessimo per davvero da mangiare ai bambini in Africa per due collari e quattro palline in croce. E ci saremmo stufati, perché certi giornali (vicini al Vaticano, ça va sans dire) insistono e ci inzuppano il biscotto sottolineando che nelle città i negozi per gli animali spuntano come funghi mentre quelli di articoli per l’infanzia diminuiscono. Concludendo poi che no, così proprio non va: in questo deragliamento c’è una perdita d’umanità. Cioè capito? La perdita d’umanità è nell’amare gli animali come fossero figli. Non in una società individualista, antropocentrica, materialista e senza uno straccio di valore. E ci saremmo stufati perché saranno pure cavoli miei se non faccio figli e come chiamo i miei cani: pensate a chi i figli li vuole ma ci rinuncia perché non può mantenerli. O a chi non riesce ad adottare perché non ha i requisiti richiesti e il conto in banca adeguato. O a quelli a cui mettete i bastoni tra le ruote perché sono una coppia dello stesso sesso. Che siamo nel 2023 solo quando vi pare a voi. Magari uno non fa figli perché non li può avere, e non ha nessuna voglia di spiattellarlo ai quattro venti. O molto più semplicemente non se la sente di mettere al mondo, in questo mondo, una creatura il cui futuro, ed è sotto gli occhi di tutti, non è esattamente roseo. O non li fa perché su questa Terra siamo quasi otto miliardi di persone, e arriverà un momento, neanche troppo lontano, in cui le risorse non basteranno per tutti. O non li vuole punto. Preferisce un cane: che problema c’è? Alla fine della fiera la signora ministra s’è sentita pure di puntualizzare. E, come sempre, la pezza è peggio del buco.

Roccella contro chi dà agli animali nomi da umani

E così sulla sua pagina Facebook ella ci mette a conoscenza d’avere un cane e tre gatti che per giunta hanno nomi che lei definisce simil umani: Donald, chiamato così perché è rosso come il ciuffo di Trump, Oliver e Colette. Simil umani un ciufolo, visto che trattasi di nomi umanissimi ma semplicemente non italiani. Come se un americano definisse, che ne so, Giorgia un nome simil umano. Non è carino, giusto? Che poi, per dire, la premier Meloni ha un gatto che si chiama Martino: pure lei, immagino, per un bisogno d’affettività. Oh, ma lei poi ce lo assicura: amo gli animali…ma.  Un po’come quelli che non sono razzista ma, non sono omofobo ma e compagnia cantando. E, bontà sua, dice che no. Lei non ce l’ha con chi ama gli animali. Ce l’ha con l’esclusività. Ergo: con quelli come me. Che non fanno figli, e ribadisco saranno pure cavoli miei, ma hanno cani e gatti. E ci saremmo stufati, cara Roccella, caro Papa, cari tutti. Primo: perché, come detto, se uno non fa figli sono affari suoi e tu, voi non siete nessuno per giudicare. Secondo: perché se rendeste la vita più facile a chi li vuole, naturali o adottati per me pari sono (e per voi?), magari le culle non sarebbero così vuote. Terzo: perché noi genitori (sì: genitori) di figli pelosi non chiediamo proprio un bel niente. Anche se è abbastanza vergognoso che i farmaci veterinari costino il triplo di quelli umani con lo stesso, identico principio attivo. Giusto per dirne una. Per quanto riguarda i nomi, trattasi di fuffa allo stato puro. Perché non mi pare nessuno si scandalizzi quando i genitori di figli a due zampe chiamano i loro pargoli Chanel, Nathan Falco o Leone. Animali, appunto. E ci saremmo stufati. L’ultimo arrivato a casa mia è un meraviglioso gattino bianco e rosso trovato per strada pochi giorni fa. Avevo pensato di chiamarlo Figaro. E però quasi quasi, per colmare il mio lapalissiano bisogno d’affettività, lo chiamo Mario in onore a Bergoglio. Fosse stata femmina Eugenia Maria.
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