Diario di guerra. Ucraina, settembre 2022

- di: Leonardo Dini
 
Sono entrato in Ucraina, dopo molti giorni di attesa e complicazioni burocratiche, dal valico di Medyka. Appena passato il confine, sono entrato in un mondo che è oltre quello occidentale, ma non è quello orientale, un mondo che ora è stravolto e ferito dalla guerra in corso. Già dalla frontiera ho incontrato file interminabili, per moltissimi chilometri, di Tir in direzione Europa. A marzo, quando ero uscito dalla Ucraina nel mio viaggio precedente, avevo incontrato invece 12 chilometri di file di auto civili, nel periodo dell'esodo di massa. Arrivato nelle città ucraine ho trovato una situazione solo in apparenza tranquilla: moltissimi i militari in giro dovunque. La popolazione si interroga quotidianamente sulle prospettive della guerra, ma è temprata dalla Storia e da tante guerre passate da qui, nei secoli. Ho parlato e ragionato con persone di ogni zona della Ucraina, gente di Dnipropetrovk, di Donetsk, di Kharkiv, di Kiev,di Odessa,…tutte accomunate dalla stessa volontà di pace e di riprendere una esistenza normale.

A Dnipro, come a Kharkiv,  bombardamenti, cannoneggiamenti, missili sono esperienza drammatica e di tutti. Ora si sono svolti i referendum che consegnano ai Russi il 15 per cento del Paese. Ormai nessun luogo è sicuro e tutto il Paese è impegnato nello sforzo collettivo di resistere alla invasione e di sostenere il difficile compito di Zelensky, nato attore e divenuto eroe di una guerra che è tra democrazie e dittature, non semplicemente autocrazie, per chiamare le cose con il loro nome. Ho capito l'anima e il modo di pensare e di agire degli ucraini come popolo, in tanti e costanti contatti con loro. Da quasi quattro anni ho spesso fatto viaggi nel Paese e lunghi soggiorni per studio e per lavoro intellettuale. Ho imparato l'essenziale della loro difficile espressione linguistica, quel che occorre per capire e farsi capire. Ho visto all'opera l'enorme sforzo per trasferire via mare e via terra le derrate e il grano a beneficio delle economie e del sostentamento di tanti Paesi del mondo, particolarmente in Africa e in Asia. I testimoni diretti della guerra si sono rassegnati a una vita da sfollati, nella incertezza e nel dramma del rapporto a distanza con amici, parenti, genitori ancora intrappolati in una realtà da incubo.

La barbarie invincibile della guerra si è riaffacciata nel XXI secolo, cancellando decenni dedicati dall'Umanità, dalle Nazioni Unite, dalla diplomazia a rafforzare, definire la pace a livello internazionale e tra le nazioni. Vedo la realtà di un Paese dove case contadine del secolo scorso e abitazioni recenti si alternano, un Paese giovane, nato nel 1991 che vive una guerra di indipendenza, così come le visse l'Italia del Risorgimento con le tre guerre di indipendenza, con la quarta nel 1915-1918 che vide completare la unità nazionale, con la quinta guerra, quella partigiana contro la invasione tedesca del 1943-1945. In Ucraina le persone specie, nelle campagne, sono semplici, bonarie, spontanee, somigliano agli italiani degli anni '50. Ma esiste anche, e la vedo da tre anni, un'Ucraina fatta di giovani che parlano fluentemente inglese, che capiscono o addirittura parlano italiano, che hanno lavorato o studiato all'estero, in Europa. Già, quell'Europa che tutti ci vede solidali con gli ucraini; l'Europa la cui bandiera sventola accanto al bicolore ucraino sulle piazze; un'Europa che è vicina e che è per gli ucraini sorella, come la definisce la Presidente Von der Leyden.

L' Europa che di cui l'Ucraina merita in prospettiva, si spera, di fare parte a pieno diritto e titolo; un'Europa cui è candidata in tempi difficili. Trovo e vedo l'Ucraina dello sviluppo tecnologico, del design, dei gangli industriali, della finanza in evoluzione, delle banche e imprese private e statali che interagiscono bene. Ho incontrato professionisti, sono consapevoli di quel che accade, mi hanno parlato del tragico destino di milioni di ucraini annessi per forza alla Russia o deportati. Eppure mi hanno salutato dicendo che credono nella libertà e hanno fiducia nell'Europa e nell'Italia che proprio di recente è stata qui, col ministro della Difesa e prima con quello degli Esteri. E mi commuove vedere il coraggio degli ucraini, la loro speranza nel futuro, nonostante la gravità della crisi. E il paradosso di una identità nazionale che in 31 anni, dal 1991, si è appena formata e rischia di essere cancellata da una assurda e ingiusta nemesi storica anacronistica. Ho visitato centri industriali e la sede della azienda corrispondente di un importante brand americano dei cereali che acquista  il grano ucraino. Ho visto la filiera produttiva del grano visitando i campi e quella degli altri prodotti di esportazione. E' triste il coprifuoco che scende ogni sera sulle città e i paesi ucraini e trasforma la notte in deserto e timore.

Ho visto il coraggio di tante donne che hanno i figli, i mariti, i padri in guerra e il coraggio e i volti delle donne soldato nelle caserme così come al fronte. Ho visto un popolo che merita libertà, indipendenza, pace e che è parte dell'Europa così come la Ucraina non è nella Ue, ma è nel Consiglio di Europa da quasi un secolo. Ho ascoltato tanti, infiniti allarmi aerei fin dai primi giorni di guerra che ho vissuto qui, a febbraio scorso, con le sirene che irrompono ogni giorno nella vita quotidiana, sino a esserne ormai parte. Ho visto i rifugi antimissile e antiaereo, di ogni genere, improvvisati o strutturati, che sono diventati parte della giornata e della notte di tanti ucraini, in tutto il Paese. Ho visto il sorriso sereno e innocente dei bambini che ancora non sono tra quelli assurdamente sfollati o peggio ancora deportati, e che ci ricordano che nessuna guerra ha un senso, nessuna invasione e nessuna violenza e che solo un mondo in pace è un mondo evoluto.
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