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Centro studi Confindustria: 2023 a crescita zero. Lo shock energetico abbatte le prospettive di sviluppo

- di: Barbara Leone
 
Centro studi Confindustria: 2023 a crescita zero. Lo shock energetico abbatte le prospettive di sviluppo
Crescita zero. E’ questo l’inquietante scenario per il 2023 delineato dal Centro Studi Confindustria nel Rapporto di previsione “Economia italiana ancora resiliente a incertezza e shock?”. L’analisi, infatti, stima il Pil 2022 in crescita del 3,4% ma un 2023 a crescita zero perché, riferisce il report, lo shock energetico abbatte le prospettive di crescita. Ergo, l’Italia cade in stagnazione e con un’inflazione record. Un apodittico verdetto, nonostante l’andamento del Pil si stia profilando più favorevole rispetto alle attese con un incremento annuo, si stima, del 3,4%. E quindi 1,5 punti percentuali in più rispetto allo scenario delineato ad aprile. Una crescita, avverte il Centro Studi di Confindustria, che tuttavia è già acquisita a metà 2022. L’ampia revisione al rialzo nel 2022 è spiegata infatti dal buon andamento dell’economia fino a metà anno.

Soprattutto il secondo trimestre, quando il prodotto interno lordo è aumentato molto al di sopra delle attese (+1,1%). La crescita acquisita del Pil per il 2022, ovvero quella che si avrebbe se i prossimi trimestri dell’anno registrassero una dinamica nulla, è al +3,6%. Alla fine del primo trimestre era del +2,8%, mentre il trascinamento statistico da fine 2021 era del +2,6%. Nell’Eurozona la variazione acquisita per il 2022 è inferiore di 0,4 punti percentuali (+3,2%), quella francese di 1,1 (+2,5%) e quella tedesca di 1,9 punti (+1,7%). Sebbene l’economia italiana abbia subito l’impatto della pandemia più della media dell’Eurozona (a fine 2020 il gap rispetto al livello del quarto trimestre 2019 era molto più ampio di Francia e Germania: -6,1% a fronte rispettivamente di -4,2% e -2,1%), il rimbalzo nel 2021 e poi nella prima metà del 2022 ha consentito al nostro Paese di superare, rispetto ai livelli pre-pandemia, le altre principali economie europee. Ma quanto ancora sarà resiliente? Gli effetti economici dell’invasione russa dell’Ucraina, acuiti recentemente dalla riduzione dell’offerta russa di gas all’Europa, hanno esacerbato le tensioni già emerse tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 sui prezzi dell’energia portandoli, quest’estate, a livelli mai visti in precedenza. Ciò, sottolinea il Rapporto, sta esercitando una forte pressione al ribasso sulla dinamica dell’economia mondiale, e in particolare europea, e sulle prospettive dell’economia italiana. L’impatto sul Pil, pur ritardato di vari trimestri, si inizierà a materializzare prima della fine del 2022. Secondo lo scenario tratteggiato dal Centro studi di Confindustira, il 3° trimestre registrerà un rallentamento, anche fisiologico dopo il sorprendente 2°, mentre il prodotto scenderà tra il 4° trimestre del 2022 (-0,6%) e il 1° del 2023 (-0,3%). Da un lato, infatti, si è esaurita la spinta legata al gap da colmare rispetto al pre-pandemia, ormai chiuso.

Dall’altro, nel 3° e 4° trimestre del 2022 si manifesteranno pienamente gli effetti negativi dell’aumento dei prezzi dei prodotti energetici. Questo calo spiega perché la crescita media del 2022 nel quadro delineato dal Rapporto, per quanto alta, sia sotto quella già acquisita. Dal 2° trimestre del 2023, la dinamica del Pil tornerebbe positiva, anche se in misura molto contenuta (+0,2% in media a trimestre), con un profilo coerente con una variazione complessivamente nulla nell’anno. Si tratterebbe di un mero recupero dei livelli di attività perduti nei sei mesi precedenti: l’economia italiana sarebbe sostanzialmente in stagnazione. Lo scenario previsivo per gli anni 2022 e 2023 è del resto caratterizzato da forti elementi di incertezza. L’ipotesi principale riguarda le forniture di gas dalla Russia. Se le tensioni tra Unione europea e Russia dovessero inasprirsi in misura tale da determinare ulteriori balzi del prezzo e/o il blocco nella fornitura di gas, gli effetti negativi sull’attività produttiva sarebbero più pronunciati, ciò implicherebbe una recessione più marcata. Un’altra assunzione dello scenario è il proseguimento della normalizzazione delle abitudini di vita sociale ed economica post-Covid.

L’aumento dei contagi che richiedono ospedalizzazione e l’introduzione di nuove restrizioni influiscono negativamente e in tempi molto rapidi sui consumi e, quindi, sull’attività produttiva. L’eventualità che insorgano nuove varianti potenzialmente più contagiose o per le quali i vaccini attualmente disponibili non siano pienamente efficaci e/o vengano introdotte nuove misure di contenimento è stata esclusa dallo scenario. Ma permane una probabilità (sempre più marginale) che si profili un nuovo peggioramento della pandemia, soprattutto nei periodi invernali di ciascun anno. C’è poi il problema legato alla dinamica dei prezzi al consumo italiani, che ha subìto una repentina accelerazione. Se si registrassero ulteriori rincari energetici, carenze di offerta o maggiori pressioni domestiche sui prezzi, la spinta inflazionistica potrebbe assumere una dinamica più accelerata e un profilo più persistente di quanto immaginato e ciò potrebbe comportare una contrazione maggiore e più duratura dell’attività economica. Lo scenario ipotizza poi che la risalita dei tassi segua le attese dei mercati. Se il rialzo dei tassi nell’Eurozona si rivelasse troppo anticipato o non correttamente calibrato, potrebbero manifestarsi effetti più negativi sia sulla domanda interna sia sul costo del debito pubblico, con riflessi sulla crescita economica. Del resto la piena efficacia del Pnrr è condizionata ad un’efficiente allocazione delle risorse, al rispetto dei tempi previsti, all’attuazione delle riforme in programma. Il venir meno di uno di questi elementi ridurrebbe il contributo positivo alla crescita nell’orizzonte di previsione ma anche negli anni seguenti.

La dinamica complessivamente prevista dal Centro Studi di Confindustria per il biennio di previsione 2022-23 farà allargare la distanza dal pre-Covid: il 2023 si chiuderà con i consumi del 3,0% sotto ai livelli del 2019. La risalita dell’inflazione, progressivamente accentuata sulla scia del caro-energia, si è in parte trasferita su altri prodotti nel corso dei mesi estivi e non sembra destinata ad attenuarsi nel breve periodo. Ciò riduce il potere d’acquisto delle famiglie, inducendole a rivedere le proprie spese. Nella seconda metà del 2022 è atteso un significativo indebolimento dei consumi, che poi sono previsti rimanere sostanzialmente piatti nel 2023 (-0,1%). Un atteggiamento che sembra confermato dal deterioramento del clima di fiducia dei consumatori che è tornato su livelli simili a quelli registrati nel corso del 2020. L’affievolirsi della fiducia sembra riflettere maggiormente le difficoltà delle famiglie a basso reddito, più esposte ai rincari dell’energia poiché destinano una quota relativamente più elevata del proprio reddito in beni energetici e alimentari e sono prive dello “scudo” offerto dalle risorse accantonate. Le stime elaborate dal Centro studi di Confindustria sottolineano infine un elemento particolarmente positivo dei conti pubblici emerso quest’anno: il forte aumento delle entrate fiscali. Un elemento, questo, sicuramente molto importante dovuto sia alla risalita dell’economia ma anche alla maggiore inflazione. Il risultato è che queste risorse hanno consentito di finanziare gli interventi senza generare più deficit di bilancio. Il gettito fiscale nel 2022 potrebbe dunque essere superiore rispetto a quanto programmato dal Governo nel Def di aprile di ulteriori 10 miliardi (0,5 punti di Pil), ma il deterioramento dello scenario economico potrebbe ridurre tali entrate.


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